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Una Giustizia troppo maschilista

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Ma la Giustizia è maschilista? Sì, proprio quella Giustizia con la bilancia in mano e con gli occhi bendati in segno di imparzialità. Eppure, quando si tratta di donne il principio di uguaglianza sembra prendere sfumature vaghe, almeno per quanto concerne violenza e soprusi, persecuzioni giornaliere perpetrate da uomini nei confronti delle loro compagne e tanto difficili da dimostrare se non sono accompagnate da segni tangibili che, quando ci sono, gridano vendetta. Ma a volte le urla che si sentono sono solo quelle delle donne uccise.

Il femminicidio non è un’invenzione, bensì una realtà che ogni giorno si può constatare sui mezzi di informazione. Basta avere occhi per vedere e voglia di capire. Che dire della ragazza picchiata senza alcun motivo e gettata infine sotto le ruote della metropolitana a New York? E’ una notizia che fa rabbrividire. Però anche le piccole violenze giornaliere, lo schiaffo dato per scaricare un’energia negativa che brucia, il denaro negato per un eccesso di tirchieria, l’offesa lanciata di fronte ai figli o agli amici, a lungo andare diventano insopportabili e la crudeltà sfiora l’omicidio spirituale. E non è l’America la madre di ogni male, pur con il suo record di due donne violentate ogni due minuti.

La piccola Italia fa la sua parte con 118 donne uccise nel 2012 e la Tuscia, con il suo retaggio rurale per il rispetto dovuto alla forza maschile, non è da meno, non tanto per omicidi quanto per maltrattamenti, visto che 55 donne nel 2012 si sono rivolte per aiuto al Centro antiviolenza Erinna, nato da pochi anni nella Tuscia proprio per far fronte a questo fenomeno. Perché dopo tanto dolore fisico e psichico sopportato in silenzio le donne sono arrivate alla determinazione di dire “basta”. Ed Erinna raccoglie le lacrime di chi non ce la fa più a sopportare una vita a due che vita non è e prova a trasformarle in pietre da lanciare contro i loro persecutori. Però la strada è ancora lunga e difficile.

Anna Maghi

Anna Maghi

Anna Maghi, socia fondatrice del Centro antiviolenza, che ha compiuto sei anni di vita, con le volontarie ha seguito finora circa trecento casi di donne in fuga e racconta un fatto che chiarisce in modo esemplare il tema della violenza domestica sottostimata da chi tiene la bilancia in mano. “Una nostra amica s’è sposata giovanissima con un ragazzo che sembrava il fidanzato perfetto, ma che subito dopo il matrimonio ha mostrato il suo vero volto, aggressivo  e pretenzioso. Insulti di fronte a tutti, rimproveri perché non rimaneva incinta, isolamento dai propri parenti. Nasce una bambina e lui non si calma, ma arriva alla violenza fisica e quando la figlia ha un anno, di fronte a lei, prende la moglie per il collo, la getta a terra e cerca di strozzarla. Maltrattamenti e tentato omicidio bello e buono, si dirà. Invece no. Malgrado la denuncia della donna, il giudice di pace decide per il marito solo una pena amministrativa, perché il reato ravvisato è ingiurie e lesioni. A dimostrazione di quanto venga sottostimata la violenza domestica”.

E questo perché ? “Perché è difficile raccontare, e più ancora provare, quella forma di violenza caratterizzata da continuità psicologica piuttosto che da efferatezza fisica. Che, quando c’è come spesso avviene, deve essere abilmente portata alla luce da chi raccoglie la storia perché sia possibile ravvisare il reato di maltrattamenti, che implica uno scenario penale completamente differente. Invece, con molta frequenza, il fenomeno maltrattamenti viene suddiviso nelle sue singole componenti, come ingiurie e lesioni, piuttosto che considerato nella gravità della sua interezza”. Giustizia maschilista? Almeno il dubbio a questo punto sembra lecito.

 

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