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I giovani? Disarmati di fronte al nuovo mondo

7861590-tre-giovani-scooter-stand-voltato-indietro-nel-parcoUna città turbolenta, anche troppo, nel Medioevo. Assonnata, anche troppo, in tempi attuali. Tutto o quasi a Viterbo scorre lentamente, una vita cadenzata dai rintocchi dei suoi campanili. In una società che viaggia alla velocità della luce, inevitabile perdere terreno. Logico dover viaggiare nelle vetture di coda di un convoglio, l’Italia, che continua ad arrancare. Una città che sta perdendo progressivamente i pezzi del suo già asfittico apparato produttivo: nell’industria, nel commercio, nell’artigianato. Un miraggio le opportunità di lavoro. Un dato per tutti: la Tuscia e il capoluogo hanno un tasso di disoccupazione giovanile che arriva al 40%, rispetto al 33% della media nazionale.
Eppure i giovani viterbesi non sono diversi da quelli di Bolzano o di Lampedusa. Vestono griffati, ostentano gli ultimi modelli di smartphone, frequentano regolarmente le discoteche, si muovono in sella a rombanti scooter. Insomma, sono figli in tutto e per tutto di una società dei consumi che però mostra la corda. Perché la globalizzazione ha spostato le masse così come gli equilibri economici con la naturale conseguenza di una diversa distribuzione delle risorse. Gli Usa sono indebitati, se possibile, più del Bel Paese. Cina, India, Brasile sono o si apprestano a diventare i nuovi ricchi del pianeta. Il modello occidentale è entrato in crisi e non ce ne siamo accorti. O forse, abbiamo colto il cambiamento senza avere la forza di adeguarci ad esso. Nel momento in cui è scoppiata la terza guerra mondiale – perché di questo si tratta – i grandi hanno sperato che finisse presto e hanno cercato di mettere in salvo i loro piccoli. Sempre e probabilmente fin troppo coccolati. Fino ad acquisire – impropriamente e comunque non giustamente – il ruolo di «bamboccioni».

Colpa dei giovani se i genitori hanno continuato a custodirli nella bambagia e a spuntare loro le ali nel timore che precipitassero dal nido? Tanto c’era il welfare familiare, fatto di uno stipendio (se non due), o di una pensione o di un gruzzolo di risparmi, a garantire la sopravvivenza. E anche di più. Per i fortunati magari una settimana bianca, un viaggio alle Maldive, un comodo parcheggio in area universitaria. Per i meno abbienti, almeno un ingresso settimanale in discoteca, uno scooter usato, un paio di scarpe però rigorosamente firmate. «Bamboccioni» i genitori che hanno alimentato le illusioni dei figli rispetto ad un mondo che stava finendo o «bamboccioni» questi ultimi che hanno creduto agli scenari che venivano loro prospettati? Signori, il welfare è in riserva.
Il risultato finale e che i giovani (viterbesi compresi, ovviamente) sono arrivati psicologicamente disarmati di fronte a un mondo che è diverso, molto diverso e sicuramente più difficile, di quello fatto immaginare dagli adulti. Stupido oltre che profondamente ingiusto generalizzare. Ovvio. Però oggi questi giovani hanno meno difese immunitarie rispetto alla vita o, se preferite, hanno meno grinta, determinazione, voglia di costruirsi un futuro. Ma hanno, oggettivamente, anche minori opportunità di impiego, rispetto ai giovani di ieri. Un mix inquietante. I trentenni (e anche oltre) non hanno un lavoro e hanno poche speranze di trovarne. Spesso manca anche l’impegno. Spiegare loro che la vita è anche sacrificio dopo averli illusi che la strada fosse tutta in discesa è stata una imperdonabile colpa. A Bolzano, come dicevamo, come a Lampedusa. Passando per Viterbo.

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