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Viterbese, quando il calcio era solo passione

viterbese storica

La Viterbese di quell’epoca

C’erano tempi in cui il pallone rotolava in bianco e nero, e anche le collette avevano un sapore indimenticabile. Mica come il marciume di oggi, tutto debiti e distintivo. C’erano tempi in cui mettere dei soldi per aiutare la Viterbese era qualcosa di nobile, un gesto d’amore e di rispetto per la squadra – i ragazzi – che ogni domenica ci facevano divertire. C’erano tempi in cui nessuno si vergognava di sostenere la Gialloblu, perché sapeva che nessuno avrebbe lucrato sulla sua passione, e che quei soldi sarebbero serviti davvero per la Causa.

C’erano tempi e calendari in cui una partita di serie D si poteva anche giocare il 31 dicembre, a San Silvestro, ultimo giorno dell’anno. In quell’anno di (poca) grazia 1977 la Viterbese si trovò a dovere andare in trasferta ad Iglesias, Sardegna profonda, Sardegna di miniere. Tanto per cambiare, in cassa non c’era una lira. Il presidente Angelo Natali, abbandonato a sua volta da altri soci, era rimasto solo e si era dimesso in autunno. La squadra era forte, per carità, con signori giocatori rimasti ancora oggi nel cuore dei tifosi: il portiere Belli, Cuccuini, Boi, Testorio, il grande Manlio Morera (che sarebbe morto tragicamente di lì a pochi mesi). Allenatore Alberici. Ma partire per quella trasferta sembrava una montagna troppo alta da scalare anche per quegli uomini coraggiosi.

In società c’era un giovane dirigente che non ci stava. Perché considerava il disertare una partita, il non presentarsi, un gesto terribile. Un disonore per i colori e la storia della Viterbese e anche una mancanza di rispetto nei confronti dell’avversario: è il senso dello sport, questo, e se vogliamo è pure il senso della vita. “Andai dal dimissionario Natali, un gentiluomo d’altri tempi, e gli dissi: presidente, ma dobbiamo davvero saltare questa trasferta? Lui mi guardò e capì: mi diede 200mila lire, aggiungendo che erano gli ultimi soldi che avrebbe speso per la Viterbese”. Quel giovane dirigente così sfacciato e così coraggioso si chiama Tonino Ranucci, e avrebbe fatto strada.

Ma torniamo a quel giorno di fine dicembre. Fatti due conti, la trasferta sarebbe costata poco meno di un milione e mezzo. Ventimila lire a persona per la pensione completa all’hotel Sardegna di Iglesias, 30mila per il volo (grazie all’aiuto del Coni, che all’epoca aveva delle agevolazioni per gli sportivi) e il resto per pagare il trasferimento in pullman dall’aeroporto di Cagliari ad Iglesias e ritorno. Restava soltanto da rimediare i soldi, dopo che Natali aveva fatto il primo passo. Ranucci ebbe l’idea definitiva:o la va o la spacca. “Andai davanti alle telecamere di Televiterbo, e feci un appello pubblico: tifosi, aiutateci, mettevi una mano sul cuore e una sul portafogli”. Gli sventurati risposero.

Manlio Morera

Manlio Morera

Iniziò allora una lunga processione nella sede della società, in via San Lorenzo, dove li aspettava il segretario Spartaco Bizzarri, il collettore. Giovani e vecchi, imprenditori e negozianti: ciascuno a versare quel che poteva. Cinquecento, mille, fino addirittura a diecimila lire. Si raggiunse la quota, e la squadra ebbe il via libera: “Mi ricordo che raggiungemmo l’aeroporto di Fiumicino con le nostre auto, stipati in sette od otto nell’abitacolo. E sull’aereo incontrammo il Brescia, che andava a giocare a Cagliari: c’era pure Beccalossi”, sottolinea oggi Ranucci, vagamente commosso ma ancora fiero di quell’episodio. Per la cronaca: la Viterbese scese in campo con Mapelli tra i pali, Lucchi, Tarantelli, Carlucci, Testorio, Palmieri, Boi, Cuccuini, Bernardis, Sala e Morera; la partita finì 0-0; il giovane dirigente onorò tutti i conti, estraendo le banconote di volta in volta da un rotolone grosso così, tipo quello che hanno i benzinai. Alla fine della stagione la Viterbese si salvò comoda, sfiorando il ritorno in serie C. Altri tempi, altri uomini, altro stile. Anche nel fare una colletta.

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24   Commenti

  1. Cinque viterbesi in squadra tra indigeni e acquisiti.

  2. Luigi Menta ha detto:

    è un sintomo della realtà economica e sociale della provincia viterbese, centrale in Italia senza rendersene conto.

  3. L’emozione di quel Carbonia-Viterbese, 1981, pochi mesi prima del fallimento. Anche lì partenza avventurosa, niente più soldi (neanche per lavare le magliette) nè dirigenti, salvo i soliti coraggiosi. Carbonia primo in classifica e lanciato verso la C2…. alle cinque della sera, su Televiterbo comparve una scritta in sovrimpressione… Carbonia – Viterbese 0-2… una gioia grandissima.

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