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Meroi e il centrodestra: meno liti, più giovani

Marcello Meroi e Giulio Marini

Marcello Meroi e Giulio Marini

Sarebbe letterariamente molto suggestivo dipengere palazzo Gentili come un ridotto militare, un Fort Apache dove è asserragliato ciò che rimane del centrodestra viterbese, mentre fuori impazzano gli indiani. Ma sarebbe sbagliato, ingiusto. Perché da qui, dalla Provincia, il centrodestra potrebbe anche rinascere. Naturalmente dopo aver smaltito la smusata delle ultime elezioni comunali, la prima storica sconfitta nella città di Viterbo da quando esiste la Seconda repubblica. E naturalmente rinnovandosi, ripulendosi, reinventandosi. Al portone di via Saffi basta citofonare Meroi per schiarirsi le idee.
Già, Meroi Marcello, colui che – da sindaco di Viterbo – ha inaugurato nel 1995 proprio i diciott’anni di egemonia nerazzurra (lui che è pure interista) nel capoluogo, quell’egemonia andata allegramente a farsi friggere con la sconfitta di Marini, dieci giorni fa, e l’elezione a Palazzo dei priori di Leonardo Michelini. “Una sconfitta – ripete il presidente della Provincia – che deve essere condivisa tra tutte le anime della coalizione. Marini non va colpevolizzato e le responsabilità vanno spartite tra tutti. E va fatta una profonda analisi di coscienza, riconoscendo agli avversari l’abilità di aver saputo aggregare molto più di noi. Si vince attraendo e coinvolgendo le forze di centro: a sinistra ci sono riusciti, con scelte che tutti sappiamo. Il centrodestra invece si è frammentato, e già le sette liste che erano scaturite lasciavano presagire il risultato”.
Ora, le frammentazioni avranno pure inciso parecchio sulla debacle mariniana. E però vanno pure considerate le beghe interne al solo Pdl, le macchine del fango, le faide. L’analisi di Meroi, in questo caso, è spietatamente lucida: “Le faide? Bene, io vengo da un partito, il Movimento sociale italiano, nel quale trent’anni fa si litigava di continuo, tra correnti, rautiani contro almirantiani e viceversa. Ma tutto succedeva rigorosamente dentro le sezioni: quando si usciva per strada e si faceva politica, la parola d’ordine era compattezza, e gli avversari, fuori,  erano quelli degli altri partiti. Ecco, oggi nella Tuscia bisognerebbe avere l’umiltà per ritrovare la compattezza dei tempi migliori, per formulare le nostre proposte come alternativa agli avversari, mica pensare soltanto a demolire i nemici interni. Perché dividersi, oggi, vorrebbe dire non aver capito nulla del risultato delle elezioni nazionali e di quello, ancora più pesante, delle amministrative”.
Il discorso del Meroi politico (perché è in queste vesti che parla) non fa una piega. Andrebbe però conciliato con le rivoluzioni annunciate a livello nazionale. La probabile nascita di una Forza Italia 2.0, per esempio, più snella e rimodulata sulle nuove esigenze. La prevedibile transumanza degli altri in Fratelli d’Italia. La possibilità che il Pdl, dissanguato, continui comunque a sopravvivere su scala ridotta. Tutti scenari possibili, a partire da settembre. “E’ naturale immaginare che i cambiamenti su scala nazionale possano avere ripercussione anche a livello locale, e dunque viterbese – ammette Meroi – Ma ciò non toglie che noi, qui e il prima possibile, dobbiamo formulare una proposta credibile e autorevole per il territorio, a prescindere da quello che accadrà nel partito in Italia e ai vari riposizionamenti. Oggi dobbiamo pensare ad uscire da questa inesistenza operativa: venerdì ho partecipato alla riunione per analizzare le cause della sconfitta, ma è stata una delle pochissime riunioni, dei pochissimi confronti interni, che ricordo negli ultimi anni. Siamo stati fermi, immobili, e invece dobbiamo pensare a cosa offrire. Come? Magari ripartendo dai personaggi credibili, dai sindaci della provincia che hanno autorevolezza e consenso elettorale, e da quei giovani che dalle urne sono usciti meno ammaccati degli altri. Non è tutto da buttare, dico io, ma invece di pensare alle polemiche sterili all’interno e nei confronti del centrosinistra, ragioniamo sulle proposte concrete”. E chissà che la controffensiva vincente non riparta proprio da Fort Apache. Alla faccia degli indiani.

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22   Commenti

  1. Giorgio Molino ha detto:

    Dall’ultimo dei Mohicani all’ultimo degli Scalzacani: Augh, lingua biforcuta!

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