29032024Headline:

“Delle barriere architettoniche non si parla”

Alessandro Pepponi in via delle Fabbriche

Alessandro Pepponi in via delle Fabbriche

Chiudere il centro storico, un concetto bello e giusto e tanto di moda. Peccato però che dietro le parole ci siano delle cose da fare, dei passaggi (non solo burocratici) da affrontare, dei discorsi da approfondire, delle questioni da risolvere. Affinché tutto non resti fine a sé stesso ma serva a far funzionare meglio il centro (cioè la città) e a dare una sveglia all’economia, alla cultura e al resto. E dunque, nella premessa ci stanno i discorsi sui parcheggi, sui rifiuti, sul decoro urbano, sui trasporti e i collegamenti. E poi, sulle barriere architettoniche. Un aspetto di cui si parla poco, che si fa finta di ignorare, che si tiene nel cassetto pronto all’uso per le campagne elettorali o per guadagnare una bella figura sui giornali.

LA PROVOCAZIONE E’ toccato ad un giovane imprenditore, Alessandro Pepponi, cercare di portare l’attenzione sul tema. Con l’energia dei suoi trent’anni, con la serietà degli argomenti e con una proposta provocatoria: assessori e sindaco vengano a farsi un giro con me per il centro storico in carrozzina. E visto che finora nessuno, da palazzo dei Priori, ha raccolto l’invito del vicepresidente di Viva Viterbo, ci siamo andati noi del Post, a fare una passeggiata con lui. Con la premessa che Alessandro, disabile da cinque anni dopo un incidente, potrebbe chiamarsi in qualsiasi modo e venire da qualsiasi altra città, visto che su quella sedia si è tutti uguali, e tutti alle prese con gli stessi ostacoli.

PRIGIONIERO Partiamo da casa sua, in via Fattungheri, a due passi da San Pellegrino, ma anche da piazza del Gesù e via San Lorenzo. E’ il cuore della città, il cuore medievale: strada piccola e stretta, teoricamente con divieto d’accesso (c’è anche il segnale): “Peccato che spesso mi ritrovi la strada ostruita dalle macchine parcheggiate – spiega lui – Prigioniero a casa mia”. Già, perché basta una macchina posteggiata al centro della carreggiata per impedire il passaggio della carrozzina. D’estate capita spesso (anche se non è che con l’inverno, con la temperatura, si abbassi anche il livello di inciviltà: è solo che c’è meno gente in giro).

La situazione impossibile in via Fattungheri

La situazione impossibile in via Fattungheri

IL CALVARIO DI VIA SAN LORENZO Scendiamo verso via San Lorenzo, ma è una parola. I sampietrini sono sconnessi, creano certe gobbe che neanche i dromedari. Le ruote piccole, davanti, s’inceppano, e rischiano di catapultare Alessandro, o chiunque nella sua condizione, in avanti, facendolo cadere. Ci vuole tutta la sua perizia, e la forza delle braccia da ex rugbista, per evitare un capitombolo. E infatti è costretto ad alzare spesso la carrozzina su due ruote, impennando in un virtuosismo che però non tutti si possono concedere. Ma andare avanti lungo via San Lorenzo è ancora peggio: un rally grottesco, tra le gibbosità, le buche, le macchine arroganti che chiedono strada. Non c’è neanche lo spazio materiale, per manovrare con la serie a rotelle, ma anche con un passeggino, per non parlare delle donne in tacchi alti, che saranno pure sexy ma a che rischio? Alessandro conosce le insidie della strada a memoria, eppure fatica. Sogna un servizio pubblico che porti i disabili per il centro: un piccolo bus, magari elettrico, accessibile per chi non può camminare. E poi, tutte le auto parcheggiate, spesso a pene di segugio: “Bisognerebbe fare uno studio serio su come sono gestiti gli spazi in centro – spiega – Quanti posti ci sono, quanti se ne possono creare, sfruttando magari i locali abbandonati o sfitti. Perché non farlo, magari coinvolgendo l’università?”. Già, perché?

NON ENTRARE IN QUEL NEGOZIO Al Corso i problemi cambiano: i sampietrini sono più livellati, rimessi a nuovo appena qualche anno fa (come a via Cardinal La Fontaine), in compenso i negozi sono quasi tutti inaccessibili.Troppo sollevati rispetto alla sede stradale: gradini alti così, muri altissimi per quelli che camminano sulle ruote. Rampe? Zero carbonella, e quando ci sono hanno delle pendenze da Mortirolo: impossibile salire, si rischierebbe di cascare all’indietro. Per la cronaca: una rampa costa 200 euro, su Ebay, mica milioni. A piazza delle Erbe, c’è un bel negozio: “Mi piace, ma non posso entrarci”, dice Alessandro. Infatti: neanche un gradino, ma due. Antichi quanto volete, ma difficili da scavalcare per tutti.

“E i bar, i ristoranti, sono quasi tutti così, tranne qualche eccezione che dovrebbe invece essere regola, come accade all’estero. Sono stato ad Edimburgo, in Scozia, che ha un centro storico anche più piccolo del nostro: lì i locali hanno tutte le rampe, c’è addirittura per un’ordinanza del sindaco. Perché non fare una cosa del genere anche qui? Perché non sensibilizzare i commercianti, magari concedendo a quelli che installeranno una rampa, fissa o mobile, qualche incentivo, fiscale, sui tributi. E soprattutto, non facendo pagare la tassa d’occupazione del suolo pubblico”. Già, perché?

Uno scalino inaccessibile di un negozio

Uno scalino inaccessibile di un negozio

L’ESEMPIO ORVIETO “Non solo all’estero è così – dice Claudia, la moglie di Alessandro – La dimostrazione di un centro storico più vivibile, l’esempio, arriva anche da Orvieto. Ci andiamo spesso, ci piace molto: ascensori, parcheggi per i disabili, locali. Tutto che funziona benissimo. Basta poco”. I parcheggi, altra iattura: prendiamo via Cavour, coi posti auto (anche per disabili) piazzati sulla sinistra. “Anche i disabili guidano – spiega Alessandro – ma forse chi ha messo questi posti non se lo immaginava. Uscendo a sinistra, però, non posso salire sulla mia carrozzina, perché sul marciapiede, più alto della strada, il trasbordo dal sedile è impossibile. La realtà è che si danno per scontate tante cose sui disabili: che non guidino, che non facciano vita sociale, che non vadano a bere qualcosa al bar, che non vogliano regalare una borsa alla moglie”. E infatti Alessandro indica un negozio di borse con un gradino alto così.

RESTO QUI Ci sarebbero tante cose da dire, nella vita di uno che vede la città ad altezza bambino, senza però averne l’agilità. Che i lastroni di via San Pellegrino sono un tormento. Che non si possono mettere ascensori alle case, per “decoro”, quando poi il decoro va a farsi fottere se si guardano le facciate cadenti di certi palazzi. Dei trasporti pubblici e di quelli privati che non bastano o non servono alle esigenze delle persone diversamente abili. Delle farmacie che non hanno le rampe. Della Asl che non sa quali medici di famiglia dispongano di accessi per disabili (già, se non lo sa la Asl chi cavolo può saperlo?). Dei turisti stranieri in carrozzina che vengono a Viterbo e che per fortuna (loro) e sfortuna (nostra) ci resteranno poco. Di quegli amici, di Alessandro, meravigliosi che decidono di non andare più nei locali che non hanno strutture per accogliere il loro amico. Dei bagni troppo piccoli, anche quelli chimici. E tante altre cose.

“E però di andare via dal centro non ci abbiamo mai pensato – dicono Alessandro e Claudia, all’unisono -, anche se sarebbe comodo e facile. Abbiamo la necessità di vivere in centro, di alzarci la mattina nel centro storico della nostra città”. Lo dicono loro, e lo fanno. Anche per gente come loro varrebbe la pena cambiare questo posto. In meglio, ovviamente. Vedi alla voce “civiltà”.

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359   Commenti

  1. Giorgio Molino ha detto:

    Anche a piedi non è facile, per non dire difficile, girare in centro.

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