19032024Headline:

Congresso del Pd: speriamo che sia vero

Andrea Egidi vuole la riconferma

Andrea Egidi vuole la riconferma

Sono iscritto al Pd da alcuni anni. Lo feci alla vigilia del trascorso congresso, che portò all’elezione di Pierluigi Bersani come segretario nazionale. Mi iscrissi per un unico motivo: avevo delle cose da dire sulla gestione del partito e volevo dirle mettendoci la faccia, in pubblico, davanti a tutti, magari con la speranza di provocare una benché minima reazione da parte della base. Ma fu un’esperienza fortemente negativa perché mi fece scoprire (ma forse, già lo sapevo) che le discussioni congressuali servono a poco. Anzi, a niente. Giacché quello che si deve decidere è già stato deciso tutto prima e i vari interventi congressuali servono solo a perdere tempo.

La parte più deludente di quell’assise fu – pensate un po’ – il congresso di circolo (io abito a Vetralla e quindi partecipai a quello) che doveva eleggere i delegati al provinciale. Bene. Fu convocato per un sabato pomeriggio alle ore 16 e io andai col mio compitino ben studiato e preparato, volendo riflettere e far riflettere sulla situazione dell’epoca. Arrivai che c’erano non più di una decina di persone (tra le quali, i più erano dirigenti del partito) e cominciò stancamente la discussione, alla quale ovviamente presi parte, illustrando il mio pensiero. Ma fu come parlare nel deserto. Giacché tutti gli altri – quelli che poi dovevano votare – cominciarono ad arrivare dopo le 17,30, orario d’inizio delle operazioni di voto. Donne, uomini, giovani, anziani, tutti con la tessera del Pd. Tutti – pensavo – con una loro idea in testa, magari anche diversa dalla mia. Ma con un’idea.

E invece? E invece dovetti assistere a una scena comica e allo stesso tempo tragica; giacché i più arrivavano, chiedevano al capobastone di turno (del quale vi risparmio l’identità per carità di patria) quali erano i nomi da scrivere sulla scheda e poi facevano – diciamo così – il loro dovere. Tutti soldatini agli ordini del capo (o dei capi – fate voi – giacché all’epoca il Pd viterbese era nettamente diviso in fioroniani, sposettiani e parronciniani), ma senza una loro testa pensante. Fui eletto tra i delegati solo perché il capobastone aveva deciso che al provinciale dovessi esserci anch’io e non per il contributo che, bene o male, avevo portato. Che non aveva ascoltato nessuno. E allora, mi chiesi: ma se funziona così anche in un congresso di partito, tra iscritti (e quindi tra gente che un minimo di passione e soprattutto di proposta politica dovrebbe avercela), che razza di classe dirigente andiamo a eleggere?

Lo sfidante Alessio Trani

Lo sfidante Alessio Trani

All’assise provinciale ci fu il replay. Molti i presenti, ma molte le sedie vuote durante gli interventi dei delegati. In tanti stavano fuori a chiacchierare o a fumare, tanto già sapevano per chi dovevano votare. Tutto il resto era noia. Archiviai tuttavia quell’esperienza come un fatto comunque positivo, giacché avevo potuto toccare con mano che le distorsioni partono dal basso e partoriscono così i mostri che poi noi tutti “ammiriamo” in televisione.

Oggi c’è un nuovo congresso e – visto che sono tignoso – ci riprovo. Con pochissime speranze di essere quanto meno ascoltato, ma con la consapevolezza che è preciso dovere di chi vuol fare qualcosa per la comunità in cui vive, di esserci. Dunque, ci sarò e mi batterò per la candidatura di Matteo Renzi, con la speranza che – in caso di vittoria del sindaco di Firenze – il Pd possa finalmente diventare un partito vero, e non un pollaio dove i galli si beccano ogni giorno tra loro e dove il fine ultimo dell’attuale nomenklatura sembra essere solo il mantenimento della propria fetta di potere. Ma so già che i soldatini sono tanti e che sono stati già abbondantemente armati e istruiti a dovere.

Rimane la speranza. Che la gente si svegli e ragioni con la propria testa, e non con quella dei capibastone. La speranza che questo congresso sia vero. In fondo, come dicevano i latini, spes ultima dea.

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19   Commenti

  1. Giorgio Molino ha detto:

    Più che galli, vediamo solo capponi, i capponi di Peppe Bucìa e Ugo Salvadanaio Sposetti.

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