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Dall’intervento alla testa, alla rinascita, ai gol

L'esultanza dei gialloblu a Canino dopo il gol di Cerone

L’esultanza dei gialloblu a Canino dopo il gol di Cerone

Sei gol in sei partite di campionato, come un Cristiano Ronaldo, ma con molto meno gel sulla cabeza. Il tiro forte e preciso, micidiale. La freddezza sui piazzati, che siano rigori o punizioni. La corsa a testa alta, con la palla tra i piedi che non sguilla mai. Oggi Federico Cerone è una colonna del tempio gialloblu costruito dal direttore sportivo Angelucci seguendo le direttive – e il budget – della famiglia Camilli. E anche ieri, sul campo di Ladispoli, in un 3-3 di polvere e salsedine (primo pareggio dopo cinque vittorie in cinque gare per la Viterbese), Cerone ha fatto il suo: doppietta, uno su rigore, e tante buone giocate. Ma c’è stato un momento, quando l’inverno lombardo mozzicava e la categoria era la serie C, in cui Federico ha rischiato di rimanere invischiato in un pozzo nero. Con la carriera a rischio e chissà quali altri sciagure. Un passato che adesso sembra lontano, una vittoria che vale per sempre.
E’ la notte tra venerdì 25 e sabato 26 gennaio. Mantova, città umida di lago e di golene, di palazzi rinascimentali e tortelli con la zucca, del grande Virgilio e dell’intrepido Nuvolari. Cerone è a casa, dorme. Ma c’è qualcosa che non va, non sta bene, va in ospedale. I medici lo visitano, ma non sono convinti: servono altri esami, che a Mantova non si possono fare, meglio andare a Brescia, dove ci sono neurochirurghi luminari. Il problema è alla testa, il problema è nella testa: un angioma, piccolo – dicono gli specialisti – ma sono sempre otto millimetri di vasi sanguigni aggrovigliati. Federico non è grave, non è in pericolo, ma bisogna operare. E l’operazione non sarà “straordinaria”, come assicurano i medici, ma delicata sì. Cerone va sotto i ferri l’ultimo giorno di gennaio: tre ore di intervento, poi in terapia intensiva,va tutto liscio come l’olio, e qualcuno già spera di rivederlo in campo prima della fine del campionato. E’ buffo, il calcio: Federico era un passo dal trasferimento al Treviso, in quegli ultimi giorni di mercato invernale, e invece adesso è in ospedale, operato, rincuorato dai tifosi manotavani, dai compagni di squadra, da tutti gli amici incontrati in una carriera passata in giro per l’Italia a rincorrere un pallone.
C’è Twitter, dove tutti gli chiedono cosa sia successo, come stia adesso, se è passata la nuttata. Lui, il 4 febbrario, tranquillizza tutti cinguettando: “Un grande spavento. Adesso per fortuna va tutto bene”. Sospiro di sollievo. L’8 febbrario Federico è addirittura allo stadio Martelli, a riabbracciare allenatore e compagni. Fa freddo, Federico indossa un cappello di lana, sorride. Trascorre un altro mese, s’intravede l’uscita dal tunnel dell’inverno, e il 15 marzo Cerone torna ad allenarsi dopo l’okay del medico virgiliano. “Spero di poter giocare il prima possibile”, confida. Il via libera definitivo dovranno darlo i medici di Brescia, in un ultimo consulto fissato per i primi di maggio. E il nulla osta arriva, giusto in tempo per la primavera, per l’amichevole in famiglia, con Cerone che gioca indossando un caschetto protettivo. E’ la prova generale: domenica è l’ultima giornata, a Mantova arrivano i romagnoli del Santaracangelo, e Federico ci spera. Entra nel secondo tempo, sull’1-1, ma a dieci minuti dalla fine si ricorda di come si faceva: la mette in mezzo morbida, e Bini di testa infila il gol della vittoria. Tutti al mare.
Oggi Cerone ha avuto il coraggio di ripartire ancora, più in basso, da Viterbo e dall’Eccellenza, dai campi in terra e dalle trasferte in borgata. Ha già segnato sei gol, con l’umiltà di chi sa mettersi in gioco. Pure da gente così, pronta a soffrire perché ha gioca sofferto e pronta a vincere perché ha già vinto, che si ricostruisce una storia. E non sarà un pareggio a Ladispoli a cambiare il destino della Viterbese, né tantomeno il destino dei suoi uomini coraggiosi. Coraggiosi come Federico Cerone.

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