28032024Headline:

Pratogiardino, una vera schifezza

Senza parole uno

Senza parole uno

C’è la signora che passeggia col cane. Un pensionato che legge il giornale seduto sulla panchina in pietra. Una coppietta di turisti al banco che sorseggia caffè e si scambia effusioni. Le paperelle in fila indiana dentro il laghetto. Un gruppo di bambini che litiga per accaparrarsi l’altalena. Sembrerebbe quasi di essere caduti dentro una tela di Monet. Ed invece siamo a Viterbo. E quindi basta spostare un po’ lo sguardo per trovare un cumulo d’immondizia dimenticata. Dei reperti archeologici abbandonati ad un triste destino. Una pira di legna potata e mai rimossa. Cestini divelti e ceneri di un fuoco da clochard improvvisato.

Senza parole due

Senza parole due

Il salto dall’impressionismo all’arte spazzatura è veloce. Ma questa non è una mostra. È Pratogiardino. Anzi, parco Lucio Battisti, laddove dall’affissione della targa dedicata al cantautore di Poggio Bustone non si è più sentito manco un giro di Do. Comunque, divagazioni musicali a parte, lo storico polmone della città dei Papi è in crisi profonda. Inutile negare il dilemma globale economico, gira meno gente e conseguentemente le attività soffrono. Due ce ne stanno a proposito, il bar e l’area giochi. Che danno (darebbero) lavoro ad un sacco di persone. Il vero problema però è lo stato di cattiva conservazione dell’area. O meglio, il totale abbandono. La ditta preposta alla tutela se n’è andata – l’appalto è scaduto – e da un mesetto il caos regna sovrano. Così ci organizza come si può. Il barman diventa giardiniere. Di custodi manco l’ombra. Le pulizie le fa una volontaria perché se arrivano turisti la vergogna sale alle stelle. C’è chi ramazza. E chi raccoglie in sacchi neri. “Che poi li porterà via mai qualcuno? – dice uno dei tanti anonimi aficionados, quelli che hanno lanciato l’appello su Facebook – Speriamo solo di non beccarci una multa per aver selezionata male la mondezza. Sarebbe il colmo”.

Senza parole tre

Senza parole tre

Ecco, la differenziata. Altro guaio. “Non che prima le cose andassero così bene – aggiunge quella che ci passa ogni dì con Fido al fianco – Ora però volendo è anche peggio. C’è maggiore confusione. È sciocco dare la colpa a Michelini, piuttosto che a Marini, Gabbianelli e quanti son venuti prima. Diciamo solo che qui una volta c’era la sede di una ventina di operatori del verde, pagati dal Comune. Che non solo tenevano il tutto come uno specchio, ma avevano anche creato una serra in grado di dar fiori e piante a tutta la città. Nonché a qualche politico romantico di passaggio… Ma questa è un’altra storia. Ora invece si susseguono appalti. Uno più disastroso dell’altro”. E la Tarsu, se non bastasse, lievita proporzionalmente al disservizio.

Senza parole quattro

Senza parole quattro

“Quei sassi ammucchiati in un angolo sono una porzione della vecchia Porta Romana – tuona un nonnino, indicandoli col bastone – Non lo sa nessuno. Ce la metteranno mai una targa? Frequento questo spazio da sempre. Ci ho visto concerti, manifestazioni, dibattiti. Si spende tanto per quattro luci in centro e a Pratogiardino non ci si pensa mai. I sindaci si vedono in campagna elettorale e poi spariscono. Come quello che ha affisso il cartello per una raccolta fondi. Voleva acquistare un’altalena per disabili. Le offerte sono arrivate. E quei soldi che fine hanno fatto?”.

Testimonianze semplici. Nate dal cuore e dall’amorevole logica. Spunti utili a riflettere sulla strada che si sta percorrendo. Come si può parlare tanto di importare cultura quando non si difende nemmeno quella che si ha in casa?

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3   Commenti

  1. Giorgio Molino ha detto:

    Si vede che Pratogiardino, anzi Parco Battisti, come è stato ribattezzato grazie a una delle tante visioni di un certo Philip Red from Trieste, non c’azzecca con la kultura modello kaffeina.

  2. Giorgio Molino ha detto:

    Senz’altro migliore (onestà intellettuale, altro che pseudo sarcasmo da compagnuccio della kaffeinaparrocchietta).

  3. Giorgio Molino ha detto:

    Amenità di Wikipedia a parte, non riusciamo proprio a capire quale crescita culturale rappresenti per la città di Viterbo un “Che tempo che fa” formato viterbicolo con bancarelle e baretti annessi e connessi. A casa nostra (ma anche a casa di molti altri), la cultura è scrivere libri, organizzare convegni di livello, preservare i nostri monumenti e i beni culturali in genere, non finanziare le narcisate di un politicante da quattro copechi qual è in realtà Filippo Rossi da Trieste.

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