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Quell’iscrizione a San Simeone

Il complesso di San Simeone

Il complesso di San Simeone

La recente inchiesta del Messaggero, a firma di Alessia Marani, sul saccheggio delle opere d’arte nella città dei Papi, ha fatto riaccendere i riflettori sul complesso dei SS. Simeone e Giuda, di proprietà dell’Azienda sanitaria locale, sede del “118”.

Una porzione di quel complesso ingloba l’ospedale degli Armeni, originariamente (circa 1237), retto dal francescano fra Soldaniero, quindi passato a tal Guglielmo nel 1310. La data la ricaviamo dalle epigrafi dell’architrave superiore dell’antica porta (DOMUS SANTORUM SIMONIS ET IUDE M.D.I) e dell’architrave inferiore. Qui compare un’iscrizione alquanto mutilata per lo sfaldamento del peperino, ricostruita da Corrado Buzzi nel saggio “Aggiornamenti al libro di Carosi sulle epigrafi medievali di Viterbo”, contenuto nel volume “Studi in ricordo di Attilio Carosi”, edito da Sette Città e curato da Alfio Cortonesi, Romualdo Luzi, Luciano Osbat, Giovanni Battista Sguario.

Ma ritorniamo all’impresa di Buzzi, insigne latinista e paleografo, con all’attivo la trascrizione e traduzione di codici medievali di gran pregio e di grande importanza per la storia del capoluogo quali Il catasto di Santo Stefano di Viterbo; Margarita iurium Cleri viterbiensis; Liber quatuor clavium; Lo statuto del Comune di Viterbo del 1469.

 

L’iscrizione è la seguente:

+ Hospitii locus est hic (ord)inis Armeniorum… piorum / (edificati u)bi sa(n)ct (a patet fa) (mos)a priorum / Symonis et Iude… luce secunda… (do) m(u)s luce secun(da) / (que nunc et) sem per quo(vis) peccamine munda / Hic captat veniam. … D(o)muse t hec menia don(o) / (Symonis et I)acobi s(e)mper veneranda colono, / Frate Gulielmo (millen)is facta trecent(is) / d(ece)nis (glorio)si Christi annis orientis.

La traduzione: E’ questa la sede dell’ospedale dell’Ordine degli Armeni con la chiesa (Domini domus) dedicata ai pii Simone e Giuda, bella a vedersi, che, ora e sempre monda da ogni peccato, qui cerca il perdono. Sono la casa da venerare per sempre per i fedeli (colono) di Simone e Giacomo queste mura concesse a frate Guglielmo (armeno, priore della chiesa, ndc) nell’anno di Cristo glorioso, sorgente, mille trecento dieci.

“Questa iscrizione – spiega Buzzi – si compone di otto esametri dattilici disposti su quattro righe e denuncia in maniera vistosa il problema che affligge molte epigrafi viterbesi: lo sfaldamento del peperino che rende difficile e talvolta impossibile la lettura. I testi sono in genere ben fatti e, se in versi, rispettosi della metrica – non dimentichiamo che Viterbo era una città di buon livello culturale – il che ne agevola di molto la lettura. Per converso non si può non tener conto della situazione opposta, quando, come in questo caso, compaiono errori e inesattezze, non estranei al latino medievale: “fratre” invece di “fratri”; “moenia” sentito come femminile singolare. (…) Riteniamo in tale modo di aver dato comunque una lettura soddisfacente, specie se confrontata con i deludenti approcci succedutisi dal secolo XVIII in poi”.

Ultima curiosità del complesso dei SS. Simeone e Giuda: sugli stipiti che sorreggono gli architravi, ci sono due iscrizioni armene: a sinistra, si legge  “Io Toros, peccatore, in espiazione dei miei peccati costruii questa porta l’anno 1356”; a destra,  è invece inciso l’alfabeto della lingua armena, in lettere maiuscole.

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