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Cultura, Viterbo in zona retrocessione

La recente mostra di Sebastiano Del Piombo

La recente mostra di Sebastiano Del Piombo

Cultura de che? Meglio cambiare prospettiva, ambizioni, campo d’azione. Meglio sospendere le chiacchiere e le promesse – la cara vecchia aria fritta – perché il morto è sulla bara. E si chiama cultura viterbese. Il dato è impietoso nella sua desolazione: la Tuscia è al quintultimo posto in Italia per l’incidenza delle imprese culturali sull’economia complessiva della provincia.
Capito? Quintultima: alla centesima posizione tra le 105 province prese in oggetto dall studio. Che si intitola “Report Io sono cultura”, ed è stato realizzato nel 2013 dalla fondazione Symbola, da Unioncamere (l’unione delle Camere di commercio italiane) con la collaborazione della Regione Marche. E che oggi La Lettura, l’inserto culturale del Corriere della Sera, pubblica con una sciccosa infografica, di quelle che vanno tanto di moda.
Il sistema produttivo culturale viene diviso in comparti: quello del patrimonio artistico culturale (musei, biblioteche, monumenti e luoghi d’interesse), quello delle performing arts (rappresentazioni artistiche, intrattenimenti, convegni, fiere), quello delle industrie culturali (film, video, musica, libri, stampa) e quello delle industrie creative (architettura, comunicazione, design, stile e artigianato).
La provincia che comanda la classifica delle imprese culturali è quella di Firenze, con quasi 13mila aziende (12970 per la precisione) nel settore, che incidono per l’11.9 per cento sul totale dell’economia privata. Come dire: oltre un’impresa su dieci, nel capoluogo della Toscana, opera in ambito culturale. Segue Milano, grazie soprattutto all’apporto dell’editoria e della comunicazione: nel capoluogo lombardo le imprese di settore sono quasi quarantamila (39881), l’11.3 per cento dell’economia complessiva della provincia, una tra le più industrializzate d’Italia. Al terzo posto la vicina Monza, e un’altra realtà lombarda, Como. Al quinto posto ecco la seconda città toscana in classifica, Arezzo, con 3765 imprese che operano nella cultura, il 9.8 per cento del totale: uno schiaffo tutt’altro che morale ai qui visionari che, da queste parti, vorrebbero paragonare la città dei papi con quella della chimera. Roma è sesta, con margini di crescita importanti.
E veniamo alle note dolenti. Viterbo, come detto, è al centesimo posto. Preceduta persino da Trapani e Brindisi. Qui le imprese registrate nel settore culturali sono 1872 (53mila il totale del Lazio), vale a dire il 4.9 per cento del totale, in un’economia tutt’altro che sviluppata come quella viterbese, che non brilla certo per realtà industriali e commerciali. Un dato che stride sensibilmente (o forse terribilmente) con quello che dovrebbe essere il patromonio di questo territorio: archeologico, storico, artistico, paesaggistico. Un tesoro, una serie di tesori, che dovrebbe parallelamente sviluppare l’economia di riferimento. Dovrebbe, perché a leggere questi dati così non è: le imprese non ci sono, o sono poche, e sarebbe interessante anche scoprire quanto fatturano, quanta ricchezza producono (il totale nazionale del comparto è 75.5 miliardi di euro) e quanti posti di lavoro creano (in Italia il 5.7 per cento deli occupati opera nella cultura). Dietro di noi, soltanto cinque province: Crotone, Agrigento, Caserta, Grosseto e Foggia, orgogliosamente ultima. E dire che in altre classifiche, quelle per esempio sulla qualità della vita, la Tuscia si è sempre piazzata a metà, senza infamia e senza gloria, una posizione media come compete ad un capoluogo medio della media provincia italiana. E invece no: sulla cultura riusciamo a fare peggio, molto peggio. Da vergognarci. I viterbesi con la cultura non solo non ci mangiano, ma non ci pagano neanche un mezzo caffè.

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