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Quell’inferno del Pronto Soccorso

Il pronto soccorso di Belcolle

Il pronto soccorso di Belcolle

Nei giorni scorsi mi è capitato di frequentare (e stazionare per un bel po’) il pronto soccorso dell’ospedale di Belcolle. E sono rimasto impressionato (perché quando le cose le vedi e le vivi in prima persona è diverso da quando te le raccontano) dal caos che regna  in quel reparto  quasi a tutte le ore, stante l’alto numero di arrivi da parte di persone che hanno bisogno di cure e la cronica carenza di personale che colpisce anche uno dei settori più vitali dell’assistenza sanitaria.

Ho visto cose che voi umani… No, non siamo nella fantascienza e non è “Blade runner”, il film di Ridley Scott che ha reso celebre la frase. E’ la semplice e drammatica quotidianità con cui devono avere a che fare, da un lato coloro che stanno male e che hanno bisogno di aiuto, dall’altro gli operatori che – con tutta la buona volontà – non ce la fanno ad assorbire le richieste in tempi ragionevoli.

Così accade che la sala d’attesa – dove stazionano i parenti dei malati che aspettano notizie – diventi una specie di piazza del Comune la sera della Macchina di Santa Rosa. Solo che all’aria di festa si sostituisce quella dell’ansia. Accade pure che il settore del “triage” (l’area dove si effettua la prima accoglienza, si forniscono i primi dati e un paramedico assegna il famigerato codice: bianco, verde, giallo o rosso, a seconda della gravità del caso) si riempia anche quella come un uovo. In una stanza fornita di una decina di sedie vengono fatti accomodare i pazienti meno gravi. Per gli altri si provvede con delle lettighe, sparse dove c’è posto (anche nel corridoio), in attesa di poter entrare nella stanza di cura vera e propria, che diventa un vero e proprio traguardo da tagliare al termine di una infinita salita.

I medici in servizio sono tre di giorno e due di notte, gli infermieri una decina. Ma non ce la fanno. Anche perché in un pronto soccorso arriva di tutto. Da chi si è slogato una caviglia a chi è stato colpito da ictus o da infarto (per non parlare di persone ferite a causa di infortuni o incidenti stradali). E per il medico – soprattutto nei casi gravi – è vietato sbagliare. Ne va della vita del paziente.

E allora? E allora bisogna essere pazienti (nel senso di avere pazienza). Pazienti i pazienti, pazienti i familiari dei pazienti. Anche se qualcuno ogni tanto sbraita perché dopo tre, quattro o cinque ore di attesa (questo è, drammaticamente, il tempo medio) la pazienza – quando c’è la tensione – rischia di venir meno.

Gli operatori fanno quello che possono. I codici rossi hanno la precedenza su tutti gli altri (e ci mancherebbe), ma accade anche che un codice giallo (ossia uno che sta abbastanza male) debba attendere anche un paio d’ore prima di poter essere visitato. Ai codici verdi non resta che la rassegnazione. D’accordo, non sono assolutamente in pericolo di vita, ma quattro o cinque ore di attesa per poter fare una semplice radiografia sono un’assurdità.

Eppure è così. E nell’opinione pubblica – media compresi – non si percepiscono quelle proteste che in genere nascono anche per cose molto meno importanti. Forse perché la massa tenta di rimuovere il problema (speriamo che a me non capiti), o forse perché ormai la rassegnazione su certi disservizi regna sovrana (tanto non si può far niente).

Certo è che la chiusura dei pronto soccorso dei piccoli ospedali ha moltiplicato la richiesta di prestazioni a Belcolle. Ma a fronte di tutto ciò (dando per giustificato da una serie di criteri oggettivi il primo provvedimento), non è seguito quel potenziamento della struttura centrale che avrebbe dovuto compensarlo in maniera adeguata.

Alcuni giorni fa, in uno dei momenti topici che purtroppo sono frequenti, c’erano due medici per circa 30 pazienti: ogni altro commento è superfluo.

Si può fare qualcosa? Non lo so. Ma quando penso a tutti i soldi gettati al vento dalle Regioni (Lazio compreso), alla spending review (che adesso va tanto di moda), all’addizionale Irpef che Nicola Zingaretti ha dovuto (o voluto?) aumentare e a tante altre simili cose, e poi assisto a spettacoli come quello che ho appena descritto, un po’ di rodimento viene. Eccome.

E allora vorrei chiudere con un invito ai tre consiglieri regionali (Enrico Panunzi, Riccardo Valentini e Daniele Sabatini) che rappresentano la Tuscia alla Pisana a trascorrere insieme una mezza giornata al pronto soccorso di Belcolle. Per rendersi conto di persona, per vedere, per ascoltare, per valutare qual è la situazione reale dell’assistenza sanitaria di prima necessità nel Viterbese. E, di conseguenza, per prendere – loro che possono – qualche provvedimento adeguato. Ma ne avranno voglia?

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2   Commenti

  1. Valentinab ha detto:

    Nell’articolo c’è una grave inesattezza. In triage non vi è un Paramedico ma un Infermiere.

  2. carlotelanova ha detto:

    La verità, come sempre ci hanno insegnato, sta nel giusto mezzo. Solo che per un “malato” la unica verità è quella di essere “ascoltato” e seguito, perché solo chi sta soffrendo sa quanto dolore sopporta. Bisognerebbe provarlo o farlo provare anche a colui che ha inventato i codici “colorati” proprio come se si trattasse di una festa e non di un bisogno per chi sta soffrendo. Non parlo, poi,della possibilità di poter usare, usare, si, tutti i fondi che vengono spesi per voluttuarietà di chi, invece soffre solo di non poter raggiungere il badget dei così detti dirigenti o menager, all’inglese. Questo , di inglese, ha solo la fuga di certi capitali verso lidi esotici che poco hanno a che fare con il dolore
    di chi, soffrendo, non capisce il … perché. Ma coraggio, così almeno qualcuno si guadagnerà il paradiso. A voi dire chi.

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