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Viterbese, il ritorno dei leoni

Il patron della Viterbese Piero Camilli

Il patron della Viterbese Piero Camilli

Scene da un’estate terribile, scene da una crisi d’astinenza: quattro mesi senza Viterbese e, dunque, senza calcio.
Eravamo rimasti al presidente Vincenzo lanciato verso il cielo da un popolo in delirio. Eravamo rimasti con la serie D riconquistata con gli artigli e con le palle, come doveva essere. E la notte in giro per la città, e i canti e le magliette, e l’addomentamento felice, sognando altre vittorie. Poi, quattro mesi di magone.
Le birre che non avevano più lo stesso sapore. I giornali senza notizie. I Mondiali che non riuscivano mica a placare la fame: che ce frega di Neymar noi c’avemo Pero Nullo. I passaggi mica casuali da via della Palazzina, giusto per dare uno sguardo, per chiudere gli occhi e far finta che fosse già settembre. Invece era luglio, il maledetto. Quelle scosse del calciomercato, con la frenesia – la ròta – di andare a vedere chi è Saraniti, e se Spinelli è ancora quel canaccio che ci ricordavamo. La squadra che prendeva forma, la fiducia cieca nel Comandante e famiglia, i proprietari che tutti i tifosi vorrebbero avere. Il fastidio per quella firma sulla convenzione per lo stadio che non arrivava, e giù a prendersela col Comune, a smadonnare. “Ma come? Abbiamo Camilli, abbiamo vinto un campionato e questi che aspettano?”. La paura lontana che questo sogno (no, non chiamatelo progetto) potesse andare via per colpa dei politici, per colpa di quella Viterbo che ha sempre pensato soltanto a partecipare, mai a vincere. Poi, il sollievo della stretta di mano a palazzo del podestà: è tutto a posto, il Gallinaro sarà ancora il teatro dei sogni.
L’inizio della preparazione, a Chianciano e dunque in culo alla luna. Meglio: i ragazzi staranno più concentrati. La prima foto del Pero con la maglietta “since 1908”. Le amichevoli, piacevoli sgambate in Toscana, ma niente a che vedere con i novanta minuti veri, la battaglia che ci piace. Il girone, i calendari, e i primi calcoli, le prime tabelle, quante volte l’avremo già giocato, il campionato, dentro la nostra testa?
Poi la Coppa Italia, ancora in esilio, anche se Grotte di Castro ormai è una piccola patria. La prima vittoria, cominciamo bene, anche se la Coppa di serie D non sarà mai la stessa cosa di un campionato. I rigori velenosi di Anzio: che regola bastarda, che sfiga, ma quanti viterbesi sugli spalti, questa è una malattia che non va più via. La campagna abbonamenti. Un salto giù, per vedere i soliti irriducibili che da vent’anni vanno a farsi la tessera, e che poi si siedono al solito posto, e che accendono le sigarette allo stesso minuto, e che se la prendono sempre col guardialinee panzone.
L’esordio a San Cesareo, vicino sì, ma sempre troppo lontano. Il Conquistador che timbra subito il cartellino, l’espulsione, quel pareggio bastardo e la certezza che ogni sfiga oggi può essere una svolta domani, se esiste un dio della Palla.
Ed eccoci qui. La settimana che vola. Lo stadio che è pronto, erba nuova ed erba buona. Sabato a letto presto. Oggi sveglia. Riposatissimi. Concentrati. Giornali. Pranzo leggero. Gli ultimi ritocchi: l’accendino, il cellulare carico, quel vecchio biglietto del playout a Tolentino infilato nel portafogli. Si parte. Parcheggio dell’Okay. Gli ultimi passi, in mezzo alla gente. Saluti a mezza bocca, mai cazzeggiare prima del fischio. L’ingresso, i controlli discreti, la salita verso gli ultimi cancelli. La tribuna è già mezza piena di malati. L’estate è finita, la Viterbese è tornata a casa. Non resta che…

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