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Quel latinorum sulla Macchina di S. Rosa

trasporto-macchina-di-santa-rosaChe dire? Questa vicenda del concorso di idee sulla nuova Macchina di Santa Rosa, destinata a diventare una vera e propria telenovela dal sapore tragicomico (visto l’indiscusso interesse dei viterbesi per la festa del 3 settembre e per tutto quel che ne consegue), ha purtroppo certificato (ma già si sapeva) lo stato confusionale in cui versa l’amministrazione capitanata da Leonardo Michelini, capace di incartarsi anche su un argomento che avrebbe dovuto invece portare a una sintesi in grado di accordare tutte le forze in campo.

E il dato più drammatico (si fa per dire) è che certe divisioni si sono evidenziate nella stessa maggioranza (ma questo succede anche altrove. Prendete il governo Renzi), dove però (al contrario del governo) c’è un pilota (Michelini, appunto) che non sempre è in grado di evitare di andare fuori strada.

Rivedendo il film del consiglio comunale nel quale si è dibattuto l’argomento si ha l’impressione che abbia vinto il latinorum del dottor Azzeccagarbugli di manzoniana memoria e che certe scelte siano state guidate anche (ci si perdoni il sospetto) da motivazioni recondite, che abbiano imposto le decisioni alla fine adottate. Anche se tutto ciò è ovviamente indimostrabile.

Detto ciò, va innanzi tutto rimarcato il fatto che è stata scartata l’ipotesi del referendum popolare. E su questo punto non c’è che da plaudire. Perché una consultazione di massa, se non viene fatta con rigorosi sistemi scientifici, rischia di far vincere chi ha più parenti o amici (come accade per certe trasmissioni televisive in cui si adotta il televoto), o chi ha maggiore capacità di coinvolgere le persone di sua conoscenza.

Ma è sembrato a tutti un obbrobrio (giustificato dal diritto amministrativo) l’aver limitato la commissione ai soli funzionari del Comune, sicuramente esperti di leggi, regolamenti e testi unici, ma – ci si perdoni – forse non all’altezza nell’esprimere un giudizio di merito sul valore artistico delle opere che dovranno essere presentate. Come se il Comune – tanto per fare un esempio – di fronte a un’operazione chirurgica della massima delicatezza, invece di affidarsi a un primario di chiara fama, avesse deciso di ricorrere a un gruppo di esperti di energia nucleare.

Certo: la fattibilità dell’opera, la sua struttura tecnica (con particolare riguardo alla sicurezza), la sua economicità sono fattori tutt’altro che trascurabili. Ma avrebbero potuto essere analizzati in una seconda fase, certamente dirimente, questa sì prettamente tecnico-amministrativa. Però, sembrava scontato a tutti che il valore artistico avrebbe dovuto essere primario rispetto agli altri.

Discorso a parte, in tutto questo contesto, merita il coinvolgimento del Sodalizio dei Facchini di Santa Rosa, diventato ormai un vero e proprio caso diplomatico (per risolvere il quale si dovrà far intervenire l’Onu?). Ma qui il discorso si complica. Giacché, se da un lato – per come sono andate le cose – il presidente Mecarini & C. hanno tutte le ragioni per essere incazzati, dall’altro non è del tutto priva di fondamento l’affermazione (storica?) del capogruppo del Pd Francesco Serra, che ha sentenziato come il 3 settembre sia “la festa di Santa Rosa” e non quella dei “facchini di Santa Rosa”.

Che vuol dire? Semplice. Che di fronte a una diversa composizione della commissione giudicante, l’eventuale esclusione del Sodalizio (ma un membro ci sarebbe potuto anche stare) avrebbe destato meno scalpore. Nonostante il tasso di permalosità (e di narcisismo), crescente in questi ultimi anni, degli uomini vestiti di bianco e, soprattutto, del suo massimo rappresentante.

E adesso? Vedremo come andrà a finire (la curiosità, credete, è tanta). E soprattutto se il buon Leonardo sarà in grado di uscire dall’empasse in cui si è cacciato. Con un timore, giustificato. Che l’argomento Santa Rosa (importantissimo per Viterbo) non finisca per dominare su tutte le altre questioni che la città deve affrontare e, possibilmente, risolvere. Perché ne va del suo futuro.

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