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La piccola Italia delizia la platea viterbese

L'Italia schierata per l'inno nazionale

L’Italia schierata per l’inno nazionale

Simone, Simone Scuffet, dove sarai tra dieci anni? Ti guarderemo alzare qualche coppa, magari in Qatar, o dove diavolo si faranno i Mondiali del ’22? E tu Daniele Verde? Sei davvero l’erede al trono di Roma (diciamolo piano, ché porta rogna)? E Artù Calabresi? E quel Pellegrini? E tutti gli altri? Qui, oggi, c’è in campo il meglio del calcio giovanile italiano, nella speranza che diventi anche il meglio dei domani, perché – e Giove Palla lo sa – il pallone azzurro ha un maledetto bisogno di essere rigonfiato, e di tornare a vincere.

Mauro Sandreani e Gigi Di Biagio in tribuna

Mauro Sandreani e Gigi Di Biagio in tribuna

Italia batte Albania 3-1, nell’amichevole di ieri pomeriggio allo stadio Enrico Rocchi. E va bene che si tratta di under 19, e che solo tre o quattro dei ragazzi hanno già visto dal vivo la serie A, però cacchio, questi sono già giocatori veri. Dal fisico formato – a partire da quel Federico Bonazzoli, proprietà Inter, che sarebbe il più bauscia tra quelli in campo –, dalla sensibilità tattica sviluppata (merito del ct Pane, e degli allenatori dei rispettivi settori giovanili di provenienza), dalla qualità tecniche indiscutibili. Verde, per esempio: piccoletto d’altezza ma mica magrolino, sulla fascia se la comanda, usa tutti e due i piedi e ispira il primo gol: controllo e dribbling di sinistro, crosso in mezzo di destra, l’empolese Piu – tutt’altro che pulcino – che la mette dentro di capoccia. Uno a zero, applausi del Rocchi. Oppure si prenda Calabresi, il romanista figlio di iena (il papà è Paolo, inviato del programma tivvù): orchestra la difesa manco fosse il maestro Muti. Idem per il compagno in giallorosso Pellegrini, un bestione dai piedi buoni e dallo sguardo fiero che ha eletto il centrocampo come sua personale riserva di caccia. E ancora: Scuffet, che pure è poco impegnato ma che spara dei rinvii portentosi, Capradossi e tutti gli altri, tipo Palombi che entra e segna.

Simone Scuffet e gli azzurrini lasciano il campo alla fine del primo tempo

Simone Scuffet e gli azzurrini lasciano il campo alla fine del primo tempo

E tutto il resto, e il colore? E la riposta della piazza viterbese? Consì consà, diceva quello che usava il francese per rimorchiare turiste. La tribuna centrale del Rocchi è pienotta, non strapiena. Si potrebbe dare di più, specie se s’invitassero – come si faceva una volta – scuole e scolari. In compenso, tanti osservatori e/o procuratori, a partire da Matteo Materazzi (fratello di, anche se non in buonissimi rapporti) e dal “fighissimo” Paolo Tramezzani (primo italiano a giocare nel Tottenham). Ma il vero osservatore è quello oscuro, sconosciuto, mascherato: entra in tribuna stampa e con accento, visibilmente fittizio, napoletano/piemontese/testaccino, chiede: “Tenete minga una distinta,boiafaus?”. Poi si mescola tra le gggeente normale e attacca a prendere appunti e a fare telefonate: se c’è una pippa in campo, lui l’ha scoperta.

In tribuna centrale svetta il cappellino copripelata di Luigi Di Biagio, allenatore dell’under 21 a caccia di rinforzi, affiancato da Mauro Sandreani, mitologico santone che salvò il Padova di Zenga, Lalas e Galderisi da una retrocessione certa e che ora è analista fondamentale per la Nazionale di Conte. Ma ci sono anche tifosi normali, gli albanesi con tanto di sciarpa (“Vengo da Parma”, dice uno) . E i viterbesi, a partire dagli arbitri, in tribuna per fare il tifo per i due guardialinee (bravissimi) di casa Argentieri e Menicacci. E ancora: bambini che pattinano, altri che alzano il tricolore, e naturalmente aficionados sostenitori della Viterbese. Che tra un commento e l’alto sul fresco ingaggio di Fanasca da parte del presidente Camilli, ascoltano basiti le urla dei giocatori albanesi in campo: “Ma che stanno a di’? Non se capisce niente…”, dice uno. E l’altro, impassibile: “Ma che devono di’? Passa, passa, nella lingua loro”. Traduzione impeccabile, tradizione (Italia sempre vincente quando gioca a Viterbo) rispettata. Olè.

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