29032024Headline:

Per alcuni è meglio lavorare che fare il giornalista

I cronisti improvvisati e l'impoverimento di una nobile professione (anche a Viterbo)

Nicola Savino

Nicola Savino

Diceva Luigi Barzini che nella vita è meglio fare il giornalista che lavorare. Stupendo. La professione di giornalista è in effetti la più bella e affascinante che ci si possa augurare. Non solo scrivendo, ma anche impaginando o titolando o scovando notizie. Dà visibilità, anche potere talvolta. Ma va usata sempre con umiltà e modestia, senza abusarne e senza l’approssimazione e la superficialità che purtroppo sempre più spesso la caratterizzano. Il grandissimo Sergio Lepri soleva ripetere ai praticanti che si preparavano all’esame professionale: ”Non dite mai che giornalisti si nasce. Perché giornalisti si diventa giorno dopo giorno”. Ecco il vero problema di oggi (anche qui a Viterbo) è che qualcuno (tanti, troppi…) crede ed è convinto di essere nato giornalista. E dall’alto di cotanta presunzione si improvvisa  “scrittore”, “titolista”, “impaginatore”: tutte funzioni che abbisognano invece di preparazione e di esperienza. Qualità che non si possono ottenere alla nascita, né tanto meno acquistare. Per di più, abbondano i direttori (di se stessi) che, in quanto anche editori, non devono dar conto a nessuno di ciò che fanno. Costoro dovrebbero (il condizionale è molto d’obbligo…) insegnare il mestiere e tramandarlo alle nuove generazioni che si avvicinano speranzose alla professione. Come si può pensare che chi ha bisogno in prima persona di insegnamenti e consigli, possa trasmetterli ad altri?

Domanda: chi si fiderebbe di un elettricista che non sa avvitare una lampadina? O di un idraulico che non sa smontare un banale rubinetto domestico? Nessuno. E allora come ci si può fidare di chi commette errori di grammatica che sarebbero severamente sanzionati anche in terza elementare? Di chi non conosce nemmeno i nomi dei comuni della provincia in cui è nato e lavora? Di chi pensa che il congiuntivo sia solo una malattia degli occhi? Eppure in tanti, solo perché in possesso di un tesserino ottenuto chissà come, si improvvisano direttori (di se stessi), creano testate e pontificano ad un numero di lettori che – a sentir loro – è numerosissimo e in costante crescita. Semplicemente mentono sapendo di mentire.

Luigi Barzini jr (1908-1984)

Luigi Barzini jr (1908-1984)

E qui non è neppure il caso di aprire un contenzioso sulla differenza tra professionisti e pubblicisti. Il giornalista è solo colui che vive esclusivamente di questo lavoro. Chi svolge altre attività e poi si cimenta anche con la tastiera, lo faccia per hobby (retribuito, certo) ma lasci perdere le direzioni e gli incarichi che sono propri di chi campa solo di questo. L’ordine poi ci ha messo del suo abolendo anche l’esamino per diventare pubblicisti. Così, in teoria, chiunque può ottenere l’iscrizione: basta raggiungere un certo numero di articoli ed esibire le ritenute d’acconto versate. E se quei pezzi li ha scritti un altro? Bazzecole, c’è la firma e questo basta. Si verificano soltanto gli aspetti burocratici e formali che nulla hanno a che vedere con la preparazione e la formazione. E dopo l’acquisizione del tesserino ecco spuntare come funghi siti e situncoli che non si sa bene che funzione abbiano. Se un giorno improvvisamente gli uffici stampa non inviassero comunicati da copiare e incollare (compresi refusi ed eventuali errori), il risultato sarebbero solo pagine completamente immacolate. A meno di far diventare notizia l’onomastico di zia Concetta, l’anniversario di matrimonio della cugina Guglielmina o il compleanno della vicina di casa (che qualche euro o una crostata lo produce sempre). Oppure scopiazzando qua e là articoli  dalla Papuasia o dal Mato Grosso: “notizie” che non interessano neppure ai papuasici o agli aborigeni, figuriamoci a chi per sventura se le trova sotto gli occhi. Che tristezza…  Ma qualcuno conosce un medico o un giudice che, tramite prescrizione o sentenza, abbia ordinato loro di fare a tutti i costi il giornalista? Chi fa un altro lavoro, per favore lasci perdere il giornalismo. Che è faccenda seria e delicata. Da maneggiare con molta cautela. Altrimenti i danni si contano a palate. L’ordine però può metterci una pezza: il direttore responsabile di una qualunque pubblicazione deve essere un professionista. O anche: non si diventa pubblicista se la certificazione non è firmata da un giornalista professionista. Che non è di per sé garanzia di competenza e preparazione (anche in quella categoria abbondano cialtroni, incapaci e incompetenti…), ma almeno ha dovuto sostenere e superare un esame di Stato.

Caro Barzini, quello splendido aforisma va aggiornato: tanti (troppi) incompetenti e incapaci è meglio che lavorino e non giochino a fare i giornalisti.

Buona domenica.

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