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Caffeina al bivio: “Crescere o morire”

Chiusa la nona edizione, potrebbe non essercene una decima

Aria di smobilitazione allo Slow food village

Aria di smobilitazione allo Slow food village

Per ogni bambino, ad un certo punto, arriva il momento di scendere dal calcinculo. Perché s’è fatto tardi e la mamma chiama (“E’ pronta la cenaaaaaa”), perché magari si cresce, e alle giostre si preferisce altro, dalle ragazzine ai videogiochi ai motorini. Non è il caso di questo calcinculo. Se il calcinculo di Caffeina si fermerà è soltanto perché è diventato troppo grande da mantenere, e nessuno sarà in grado di pagarsi il biglietto per un giro pazzo.

PEPPONI LASCIA Il primo a scendere dall’attrazione è Michele Pepponi, che ha aspettato con educazione e rispetto la conclusione della nona edizione del festival culturale viterbese – fuori dalla conferenza stampa per il bilancio finale è tutto uno smontare palchi e stand – per ratificare le dimissioni da presidente della Fondazione Caffeina. Un gesto eclatante e coraggioso, perché la Fondazione è nata con lui (e con i soci promotori Andrea Baffo e Filippo Rossi) e grazie a lui ha alimentato le ultime tre stagioni dell’evento, “le tre migliori edizioni di sempre per Caffeina”, concordano tutti. Ma proprio da una grande rinuncia possono nascere grandi opportunità, e Caffeina è di questo che ha bisogno: di una nuova prospettiva, di nuove forze, di un progetto che ne garantisca la sopravvivenza o che ne sancisca la morte.

“E’ un percorso che si chiude – dice Pepponi – perché la Fondazione oggi ha esaurito il suo compito. Doveva fornire il fabbisogno economico per il festival, e grazie ai soci, privati e pubblici, ci è riuscita, seppure riducendo tutto all’osso. Ora non basta più: Caffeina è cresciuta e deve continuare a farlo: o si trova un sistema affidabile o si prende atto delle cose e si chiude. Le mie dimissioni sono funzionali proprio al rilancio del progetto”. Dunque, l’apertura a nuovi finanziatori: alle grandi aziende (“Ben venga un privato che decidesse di regalare il festival alla città”), oppure ai piccoli finanziatori. C’è anche l’idea del crowdfunding, che però va strutturato bene. “Mille soci a cento euro l’uno, duemila soci a cinquanta euro, già queste sarebbero adesioni che metterebbero in sicurezza il futuro del festival”, calcola Pepponi, uno che ragiona da imprenditore e che comunque assicura che le aziende della sua famiglia resteranno al fianco di questa realtà.

Filippo Rossi, Michele Pepponi e Andrea Baffo alla conferenza stampa finale di Caffeina

Filippo Rossi, Michele Pepponi e Andrea Baffo alla conferenza stampa finale di Caffeina

UN INVESTIMENTO SOCIALE Filippo Rossi lo chiama “un investimento sociale”. E si capisce, perché non si rivolge certo a quella piccola porzione di città invidiosa e rosicona. Lui, e Baffo, e Pepponi, parlano alla maggioranza. Alle migliaia di persone che hanno riempito le piazze negli ultimi dieci giorni, che hanno applaudito i grandi e i piccoli eventi. Che hanno pagato il biglietto giornaliero, quello volontario, quello singolo. Parlano pure agli sponsor che ci hanno sempre creduto, assegni in bocca. Ai volontari.

“Le critiche ce le siamo sempre tenute, e anzi quest’anno il tono è cambiato, in meglio – ammette Rossi – Persino per il calcinculo, che ha sollevato sì qualche polemica, ma limitata, mentre ha riscosso apprezzamenti unanimi dai visitatori esterni, anche illustri. Ecco, il calcinculo è la nostra dimensione obbligata: siamo costretti ad inventarci qualcosa perché non possiamo fare promozione ad alti livelli, non c’è budget, e allora bisogna trovare qualcosa che faccia parlare. Ripeto il concetto: dateci 100mila euro per la comunicazione e Caffeina diventa un mostro in grado di riempire gli alberghi di tutta la provincia, mica solo del capoluogo. Dateci i mezzi per crescere ancora, perché a noi non interessa che Caffeina resti così, oppure che si rimpiccolisca addirittura, in un pauperismo che sarebbe fatale. Più grande diventa e meglio è, sennò non ha senso neanche farla. E non accetto neanche le solite considerazioni provinciali: non è vero che Caffeina è troppo grande per Viterbo, né che qui le cose belle ad un certo punto muoiono. Noi saremo qui a lavorare per i prossimi due mesi affinché ci sia una decima edizione, e poi magari un’undicesima e via così”.

DOPO SANTA ROSA Già, la data limite è il 30 settembre: “Come la scadenza dell’iscrizione ad un campionato – dice Pepponi – Se non ti iscrivi sei fuori”. Ma il progetto di rilancio della Fondazione è già partito, sono arrivati nuovi soci anche da fuori città, e altri ne arriveranno. Tutti convengono che non avrebbe senso cambiare luogo al festival, ma lasciare che il festival cresca, per continuare ad attrarre ospiti illustri, case editrici, turisti. Per saldare definitivamente le tre parti (contenitore, contenuto, pubblico) in una cosa sola. “Il 30 settembre non è un ricatto, un ultimatum. E’ la fotografia della realtà – dicono Baffo e Rossi – Perché già dal giorno dopo bisogna iniziare a organizzare l’edizione del 2016, ci sono dei tempi da rispettare, e bisogna partire con delle certezze. Non ci sono alternative, non rischieremo di farlo senza avere garanzie, è finita l’era dei salti nel buio. E sia chiara una cosa: o si va avanti o si finisce, non si può saltare un anno. Perché a quel punto anche tutte le professionalità che hanno aiutato Caffeina a crescere saranno già salpate verso altri lidi, altre opportunità professionali. E Viterbo perderà un patrimonio nel patrimonio”.

Il calcinculo a piazza Fontana Grande

Il calcinculo a piazza Fontana Grande

PRONOSTICI E SPERANZE Rossi è convinto di vincere anche questa sfida (“All’80 per cento ce la faremo. Ma fino a cinque giorni fa ero in preda al pessimismo più scuro”), Baffo sta nel mezzo, Pepponi è per il no. Perché? “Perché la Fondazione doveva servire a creare una lobby territoriale, con istituzioni, associazioni, imprenditori, cittadini – spiega il presidente dimissionario – Non ci siamo riusciti, ed è la conferma di un’assoluta incapacità di guardare oltre che da sempre attanaglia questo territorio. Quando Filippo è entrato in politica, poi, è successo il finimondo: nessuno che sia riuscito a capire che la Fondazione non era, e non è, di Rossi. Che lui è solo il direttore artistico, almeno fino a quando lavorerà bene, poi è sostituibile come tutti”.

La mediocrità intellettuale – o la scarsa intelligenza – non si cancella neanche con mille edizioni di un festival culturale. E oggi saranno in molti a mettere lo champagne in frigo: per il 30 settembre sarà bello fresco e forse si potrà brindare in allegria all’ennesima sconfitta targata Viterbo. Alla salute, la vostra.

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