Fiera degli stracci, cioè fiera di Santa Rosa. Il quattro settembre è uno dei due giorni all’anno – l’altro è il 25 marzo, l’Annunziata – in cui il centro storico della città si riempie di bancarelle. Di merce di dubbio gusto. Di venditori ciarlieri se non invadenti. Di odori, anzi di puzze, dalla provenienza dubbia. Prodotti tipici, locali, a chilometro zero? Pochi, e ogni anno sempre di meno. Roba di qualità? Rarissima. Insomma: perché insistere – il verbo giusto è intignare – con questo spettacolo osceno quando ci sarebbe già il mercato settimanale del Sacrario, che basta e avanza? Misteri della fede.
Ma ieri, a questo dibattito ultra decennale su quanto valga la pena continuare con la tradizione (frase tipica: “Alla gggente la fiera gli piace”, con tanto di anacoluto manzoniano) si è aggiunta un’altra puntata. Stavolta via social network.
Prima, la provocazione lanciata dal nostro direttore editoriale Arnaldo Sassi: “Finché il 4 settembre continuerà ad esserci lo spettacolo indecoroso della fiera (in quello che è un centro storico di pregio, per le sue bellezze artistiche e architettoniche), la festa di Santa Rosa è destinata a rimanere – Unesco o non Unesco – una sagra simil-paesana. Peccato!”. Poi il carico da undici, firmato da Filippo Rossi, leader di Viva Viterbo, già candidato sindaco e presidente del consiglio comunale e ora consigliere di maggioranza, uno che la tocca piano come al solito: “Il coraggio di cambiare. Il 4 settembre aboliamo la fiera e riempiamo il centro storico di eventi artistico-culturali”. Per esempio concerti, per esempio esibizioni di artisti di strada, e via di fantasia, e di qualità. Sassi, da vecchio leone, rilancia: “Visto che siedi in consiglio comunale, questa potrebbe essere una tua bella battaglia culturale. Magari da condividere con larghi strati della popolazione attraverso un’adeguata campagna di informazione…”. E Rossi, scettico: “D’accordo. Ma sarà tutto inutile”.
Alla discussione si sono uniti anche altri viterbesi, molti favorevoli a trovare qualcosa di nuovo al posto della fiera, altri d’accordo sullo spostamento in una zona meno “delicata” (Poggino, Valle Faul), altri ancora invece difensori della tradizione. Altri ancora fatalisti: “Se ogni anno piove, ci sarà pure un motivo” (Massimiliano Forieri, hai vinto tu).
Fin qui le parole. E la speranza che qualcuno si prenda in carico di studiare un’alternativa valida al suq. Che anche ieri, tra l’altro, ha invaso le vie del centro storico con il solito campionario (anzi, bestiario) di paccottiglia. Gli immancabili calzettoni (tre paia a cinque euro), i fondamentali bastoni da selfie, la padella antiaderente, la porchetta umbra (come se nella Tuscia avessimo bisogno di importare maialini), le specialità siciliane, gli scopettoni e le cineserie. Alla fine della fiera, non resta che aspettare la prossima. Purtroppo.