20042024Headline:

Trasporti, tu chiamale se vuoi emozioni

I facchini raccontano le storie della Macchina di S. Rosa: Nello Celestini nel cuore di tutti

Al centro Lorenzo Celestini, figlio dell'indimenticabile Nello

Al centro Lorenzo Celestini, figlio dell’indimenticabile Nello

C’è tutta la viterbesità possibile nella serata dei Racconti sotto la macchina. La storia dei Trasporti da sessant’anni a questa parte raccontata da chi li ha vissuti in prima persona: gli aneddoti, le tragedie sfiorate, le preoccupazioni, la gioia, le emozioni. Un percorso lungo che i protagonisti ripercorrono non nascondendo la commozione. L’attuale capo facchino Sandro Rossi era ciuffo (come il presidente del Sodalizio, Massimo Mecarini) quando nel 1986 la Macchina si inclinò paurosamente proprio al termine della salita che porta al santuario della Patrona. “Ci eravamo accorti già durante il percorso che qualcosa non andava – ricorda – Armonia celeste era stata ideata da Joppolo e il Trasporto lo guidava il costruttore, Socrate Sensi. Era altissima, circa 34 metri, e pesantissima, circa 80 quintali. A piazza del Teatro volevamo fermarci, poi si decise di arrivare a piazza del Teatro e di lasciarla lì. A quel punto intervenne Nello Celestini e con il suo straordinario carisma ci convinse ad andare su. L’ascesa andò bene, ma in cima accadde qualcosa: la macchina si piegò sul lato destro, tutto il peso era da quella parte. Io che ero sulla sinistra non l’avevo più sulle spalle. Ci avevano insegnato che in quei casi bisogna tirarla giù. Lo facemmo, ma le cose non migliorarono… Non sapevamo che fare, sentivamo solo le urla della gente, aprirono le porte della chiesa per far entrare le persone che erano lì. Nello strappò il microfono a Sensi e prese in mano la situazione. Il solo sentire la sua voce ci dette forza e coraggio. Con un ‘sollevate e fermi’, la rimettemmo dritta ma cominciò a pendere a sinistra. Altro ‘sollevate e fermi’ e finalmente riuscimmo a mettere i cavalletti sotto. Ma non era finita: Nello ci disse che non la potevamo lasciare là con la santa di spalle alla chiesa: ultimo sforzo e la mettemmo a posto. Grande Nello: senza di lui non so cosa sarebbe potuto accadere”. “E da quella tragedia sfiorata – si inserisce Mecarini – nacquero tre svolte fondamentali: pesatura obbligatoria della Macchina che non deve pesare più di 50 quintali, con una tolleranza del 5%; altezza massima di 28 metri e soprattutto il Trasporto affidato rigorosamente ai facchini e non più al costruttore”.

Il sindaco Michelini, il presidente del Sodalizio Mecarini e l'ex facchino Antonio Febbraro

Il capo faccino Sandro Rossi, il sindaco Leonardo Michelini, il presidente del Sodalizio Massimo Mecarini e l’ex facchino Antonio Febbraro

A Massimo Taratufolo tocca ripercorrere con la memoria quell’indimenticabile 27 maggio 1984 quando Santa Rosa tornò a ripercorrere la viuzze di Viterbo in onore di papa Giovanni Paolo II. “Pioveva a dirotto e già alla fine del giro delle sette chiese eravamo bagnati dalla testa ai piedi. Mai visti tanti asciugacapelli e ferri di stiro tutti insieme… A San Sisto l’idea di non partire a causa della pioggia fortissima era consistente. Invece partimmo, a Fontana Grande l’acqua s’era portata via tutta la pozzolana: era rimasto solo fango. In piazza del Comune facemmo le tre girate e volevamo fermarci. Ma improvvisamente il cielo si rasserenerò, c’erano le stelle e così decidemmo di fare il tragitto normale. Era stato stabilito che una delegazione di noi dovesse salire in Comune per salutare il papa e invece scese lui in piazza e strinse la mano a tutti i facchini. E come lo posso dimenticare…”.

L’anno prima, il 9 luglio, c’era stato un altro Trasporto straordinario per ricordare i 750 anni della nascita di Santa Rosa. “Il sindaco dell’epoca era Rosati e la Macchina era Spirale di fede che, oltre ad essere trasportata il 3 settembre dal 1979 al 1985, ebbe anche l’onore di due uscite speciali. Mio padre – racconta Lorenzo Celestini – aveva avuto problemi cardiaci e non poteva essere materialmente presente. Fu la signora Palazzetti, la moglie del costruttore Rosario Valeri, a suggerire al marito che fossi io a prendere il posto di Nello. Non c’era grande entusiasmo fra i facchini, faceva un caldo terribile quasi come quello del luglio scorso, Viterbo quasi ci snobbò, ma la sera c’era tutti in piazza. Il dottor Prosperoni fece arrivare una cassa di Polase dalla farmacia comunale: avevamo perso tanti di quei sali… Mio padre fu operato al cuore a Siena il 24 luglio, ma il 3 settembre fu puntualissimo davanti alla Macchina. Mia sorella e mia madre si misero le mani nei capelli vedendolo impartire gli ordini come sempre. A casa scoppiò una lite furibonda e lui placò tutto con una battuta: ‘Ma i medici non hanno detto che dovevo fare una prova da sforzo?’ Era fatto così…”. Raffaele Ascenzi, ideatore di Gloria, diventò facchino proprio con Nello: adesso lo imita con il vocione e con le espressioni tipiche che davano la carica a tutti.

Gli ex facchini Antonio Febbraro e Claudio Graziotti, detto Lolli

Gli ex facchini Antonio Febbraro e Claudio Graziotti, detto Lolli

Antonio Febbraro oggi ha 86 anni e diventò facchino nel 1949: c’era nel 1952 quando la macchina passò per via Marconi, al di sotto della quale c’erano ancora i rifugi anti-aerei della guerra e persino un deposito di carburante. “Era pericolosissimo, ma noi la Macchina l’avremmo portata anche a Valle Faul…”. “L’ideatore, l’ingegner Salcini – interviene Massimo Mecarini – era così preoccupato che la sera del 3 se ne andò a Roma e trascorse tutta la notte attaccato alla radio per ascoltare Notturno dall’Italia, una trasmissione di canzoni e anche informazioni. Temeva che potessero arrivare notizie brutte da Viterbo… La mattina dopo quando gli telefonarono e gli dissero che era andato tutto bene, crollò sul letto e dormì per due giorni”. E Febbraro c’era anche nel 1967 quando Volo d’angeli si fermò irrimediabilmente durante il Trasporto: “Non capivamo il perché, ma durante il primo tratto da San Sisto a Fontana Grande, sentivamo che qualcosa non andava. Era una Macchina che non si poteva trasportare: troppo pesante, forse. Poi ci dissero che c’era un problema di baricentro, ma io ancora oggi non so cos’è ‘sto baricentro…”. Sul filo dei ricordi tocca a Claudio Graziotti, per tutti semplicemente Lolli: “Diventai facchino perché lavoravo al Consorzio agrario dove scaricavo gli autotreni. Un impiegato non poteva mai diventare facchino… Ho conosciuto Zucchi, un uomo sanguigno ma incapace di portare rancori. Una volta mi telefonò in piena e mi disse di raggiungerlo portando con me gli stivali da pescatore. Mia moglie si spaventò. Scesi per strada, mi passò a prendere e mi portò al Sacrario dove mi fece entrare nella fontana (ecco il perché degli stivaloni) per mettere un mazzo di fiori al monumento ai paracadutisti. Con i quali non c’entrava niente visto che aveva fatto il marinaio, ma lui era così”.

Sessant'anni di trasporti raccontati sotto Gloria, la nuova Macchina di S. Rosa

Sessant’anni di trasporti raccontati sotto Gloria, la nuova Macchina di S. Rosa

Emozione dopo emozione, si arriva ai giorni nostri. Il sindaco Michelini ricorda quel giorno del 2013 quando a Baku la rete delle Macchine a spalla diventò patrimonio immateriale dell’Unesco. “E non era affatto scontato che accadesse – sottolinea -. Ne fummo certi quando, al termine del filmato della nostra Macchina, scoppiò un applauso scrosciante”. L’assessore Barelli si sofferma sul significato della presenza di Fiore del cielo all’Expo: “Un’iniziativa che dà lustro a Viterbo e ai facchini e che, in futuro, avrà positive ricadute turistiche”.

La giannella (copyright Massimo Mecarini) si fa sentire, ma volentieri si starebbe ancora insieme a ricordare mille episodi vissuti direttamente e altri tramandati di facchino in facchino. Tu chiamale, se vuoi, emozioni…

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