28032024Headline:

Effetto Bamba sulla Stella Azzurra

Sogni, speranze e obiettivi di Marco Giancarli, professione play maker

Bamba in palleggio

Bamba in palleggio

Bamba? La ricerca dà risultati ampi e, per certi versi, anche ambigui: una canzone (Los Lobos), due calciatori (uno brasiliano e uno ivoriano), persino un tipo di droga (!) e poi la definizione del sostantivo (di origine dialettale: roba del Nord, Padania o giù di lì): persona ingenua, sprovveduta, stupido, rimbambito. Ok, se ne prende atto, ma a Viterbo (area basket, sponda Stella Azzurra), Bamba è solamente lui: Marco Giancarli, vent’anni, di Aprilia, professione play maker. Che poi sarebbe regista, cioè il Pirlo della situazione. “Mi porto dietro quel nomignolo da almeno cinque anni… Da quando cioè tra i ragazzi come me c’era l’abitudine di usare un appellativo tra nome e cognome sul profilo Facebook. Ne avevo utilizzati diversi, poi venne fuori Bamba: gli amici cominciarono a chiamarmi così, a me piaceva e piace tuttora e così mi è rimasto appiccicato addosso”. Vabbè, la spiegazione non spiega poi molto, quindi bisogna prenderne solo atto e andare avanti. E comunque Marco Giancarli è tutt’altro che stupido, sprovveduto, ingenuo o rimbambito. Anzi… E non fa uso di droghe, non beve e non fuma: il figlio che tutte le mamme vorrebbero avere.  Idee chiare e il futuro spalancato davanti.

Sara Rubinetti, la ragazza di Marco Giancarli

Sara Rubinetti, la ragazza di Marco Giancarli

“Col basket ho cominciato a 3 anni. Sembra impossibile, ma è così. Mio fratello, che ha quasi 4 anni più di me, faceva minibasket e andavo con lui in palestra. Dando fastidio a tutti… Appena ho avuto l’età giusta, ho cominciato anch’io e non ho mai smesso. A 13 anni sono andato via da casa per giocare a Latina, dove andavo anche a scuola (liceo scientifico), poi alla Stella Azzurra Roma, che è proprietaria tuttora del mio cartellino dove giocavo sia in B che nelle giovanili. L’anno scorso a Taranto, sempre in B nel Cus Jonico,  e adesso a Viterbo”. E per completare il quadro c’è anche l’università (Roma Tre, scienze politiche): “Non è che abbia fatto tutti gli esami… Insomma, cerco di stare al passo, ma non è facile”. Già, la vita del giocatore professionista non concede molto tempo… “No, non è del tutto vero. Il tempo ci sarebbe pure, però talvolta manca la concentrazione per mettersi sui libri e studiare. Però questa è la strada che volevo percorrere e questa sto percorrendo. Non ho mai avuto altro per la testa, ma il posto della laurea c’è e non si tocca. Magari ci arriverò un po’ ritardo, ma ci arrivo di sicuro”.

Il consueto saluto a fine gara con mamma Patrizia

Il consueto saluto a fine gara con mamma Patrizia

Intanto c’è una sconfitta da digerire. “Ci sono rimasto male, lo confesso. Poi, a mente fredda, ci ho riflettuto sopra e sono arrivato alla conclusione che Scauri, nell’ultimo quarto, ha alzato notevolmente il livello del suo gioco e non c’è stato più nulla fare. Perché loro sono davvero forti. Però lo stop di domenica scorsa non cancella quanto di buono abbiamo fatto finora. Sabato a Empoli bisogna tornare a vincere. E allora in ogni minuto dell’allenamento bisogna dare il 100% e, se è possibile, anche di più. E in partita uguale. E’ la mia regola di vita e del basket ed è anche la base sulla quale opera coach Fanciullo. Ecco perché mi trovo bene qui dal primo giorno”.

Marco con la maglia della Nazionale

Marco con la maglia della Nazionale

Ma a casa che ne pensano? “Mi hanno sempre assecondato, rispettando le mie scelte anche quando c’era da storcere la bocca. Quando il mio procuratore mi disse della possibilità di andare a giocare a Taranto, ne parlai subito con la mamma (Patrizia) che era in casa con me e poi al telefono con mio padre (Giuseppe, ottimo fotografo, fra altro): però decisi da solo e loro si sono adeguati. Sì, mi supportano sempre…. Anzi, mi sopportano visto che anche le poche volte che torno ad Aprilia, a casa non ci sto mai. Dovunque gioco, sono sempre lì a sostenermi: a Viterbo e anche in trasferta. Non so quante migliaia di chilometri si è fatto mio padre per venirmi a vedere”. Ma che cos’è il basket per Marco Giancarli? “Tutto, è la mia vita. Volevo fare il professionista e ci sono riuscito”. I traguardi successivi? “Giocare bene la prossima partita e migliorare. So di avere dei limiti e ci sto lavorando su. Il coach mi dà continuamente consigli, per esempio devo migliorare sulla velocità delle gambe e per questo faccio un lavoro specifico concordato con Isa, la nostra preparatrice atletica. E’ vero, mi prendo qualche rimprovero, ma Umberto ne ha per tutti, anche se poi dopo un secondo è più amico di prima. A lui devo tanto, penso che mi conoscesse e che sia stato lui a volermi qui: anche per questo sento di dover dare qualcosa di più. Qui ho ritrovato Fallou, Giotto, Riccardo Rovere: siamo davvero un bel gruppo”.

Marco Giancarli a canestro

Marco Giancarli a canestro

Sul piano personale? “Sto da più di due anni con una ragazza. Si chiama Sara e gioca pure lei a basket nella Stella Azzurra Roma, anche se quest’anno allena una squadra giovanile a Latina. Ci vediamo poco, ma stiamo bene insieme. Se avremo un figlio, è probabile che nascerà con il pallone a spicchi tra le mani…”. A proposito, nella pallacanestro tifa per la Fortitudo Bologna (“Sono sfegatato) e nel calcio per l’Inter (“Domenica scorsa mi ha fatto digerire meglio la nostra sconfitta”): nessuno è perfetto.

E’ il momento dei sogni: spazio ai desideri, anche quelli più reconditi. “Della laurea ho già detto, ma quello è un obiettivo non un sogno. Vorrei migliorarmi e per questo ogni giorno mi impegno al massimo. Chissà, magari anche andare in A2 con questa maglia e con questa società, che è fatta di persone appassionate, serie e competenti”. E se non fosse solo un sogno?

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