25042024Headline:

Vescovo contestato: non c’è più religione

Nella basilica di Santa Rosa interrotta l'omelia del vescovo Lino Fumagalli

La messa di ieri a Santa Ross

La messa di ieri a Santa Rosa

Misericordia un corno. Giubileo pure. Alla faccia di tutte le migliori intenzioni, neanche in chiesa si può più stare tranquilli, signora mia. Chiedere lumi a Fumangalli Lino, eccellenza sua e vescovo nostro. Aveva appena finito la sua omelia quando è successo il patatrac: un manipolo di (in?)fedeli che lo contesta. A capeggiarli è Mauro Galeotti, giornalista, con lui altre cinque o sei persone. Ma idealmente buona parte della basilica di Santa Rosa dedica un applauso tutto da interpretare: condivisione della contestazione, solidarietà al vescovo oppure solidarietà alle clarisse? Già, le clarisse. Ché poi nasce tutto da loro, intorno a loro, per loro.

Questa doveva essere la messa di commiato in onore della tre anziane suore, ”che nei prossimi giorni lasceranno il monastero” (Fumagalli, durante la predica). E anche al benvenuto alle suore alcantarine, che ”cureranno il monastero continuando la tradizione e i sacrifici di 700 anni di storia” (idem, ibidem). E invece arriva questo intermezzo non bello – la chiesa, la sacralità del luogo, il rispetto della massima autorità religiosa del territorio, l’educazione – ma certamente clamoroso.

Suonano le campane, alcantarine e clarisse sedute di buon ordine, le autorità (sindaco Michelini, vice Ciambella, consiglieri comunali Giulio Marini e Maurizio Tofani), il presidente del Sodalizio Massimo Mecarini, devoti e fedeli vari. A metà, l’intervento di Fumagalli, che prima ricorda il Natale, e poi viene al sodo: ”Siamo qui per salutare le nostre clarisse di oggi, e quelle che nel corso dei secoli hanno portato avanti il culto per Santa Rosa – dice il vescovo – Non è un evento inaspettato: il vescovo è silente, ma non assente. Con un decreto pontificio sono stato nominato commissario del monastero, e amministratore, e per ben due volte ho provato ad intervenire. Ho chiesto, ho bussato, ho implorato, contravvenendo ma non disubbidendo alle direttive. Anche dai vertici della congregazione mi hanno detto che non c’era la possibilità di portare altre sorelle qui, al fianco delle tre anziane. Ho chiesto anche ad altri monasteri…”

Senza clarisse il monastero era destinato alla chiusura, come quello di Vitorchiano. Fumagalli, invece, sostiene di averlo salvato: ”Grazie all’interessamento del segretario generale dell’ordine abbiamo avuto il dono delle alcantarine – dice – alle quali diamo il benvenuto a Viterbo e crediamo che possano avere quell’amore e quella fede per continuare la tradizione e il culto che va avanti da 700 anni”. Per il vescovo non c’erano i margini per una convivenza tra le due congregazioni: quella soluzione diplomatica che per alcuni mediatori (per esempio il sindaco Michelini) avrebbe potuto sistemare le cose. ”Le clarisse sono suore di clausura – spiega il prelato – e hanno le loro regole, i loro orari. Sarebbe stata una convivenza dannosa, dolorosa. Le clarisse invece potranno proseguire la loro vita, che ci auguriamo sia lunga, altrove e sempre secondo le regole che hanno scelto tanti anni fa”. E qui scatta la contestazione, come in questo Paese si usa di solito per il politico di turno, o il presidente della squadra del cuore che non compra campioni. Il vescovo non ha fatto un plissé, replicando a Galeotti in modo pacato: ”Se lei dice così non ha capito lo spirito delle clarisse e il loro voto”. Ma prima che la messa si trasformi in un dibattito, stile Processo del lunedì o La Gabbia, ci pensa ancora Fumagalli a voltare pagina, attaccando il Credo: ”Credo in un solo Dio, padre onnipotente”. Soprattutto onnipotente. E la messa è finita.

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