28032024Headline:

Anfibi in pericolo? Allarme per la Terra

Gli studi del professor Giuseppe Nascetti, dell'Unitus, in onda su Geo&Geo

Il professor Giuseppe Nascetti dell'Università della Tuscia

Il professor Giuseppe Nascetti dell’Università della Tuscia

L’Unitus su Geo&Geo. Nella puntata andata in onda qualche giorno fa, il professor Nascetti, ordinario di Ecologia presso l’Università della Tuscia e coordinatore del gruppo di ricerca Beagle, ha affrontato uno dei temi più importanti, ma meno conosciuti, sullo stato di salute dell’ambiente: il declino globale degli anfibi, la cui scomparsa è un campanello di allarme per lo stato di salute del nostro pianeta: allarme che però in pochi stanno ascoltando.

Da 30 anni il gruppo di ricerca del professor Nascetti ha focalizzato i propri studi sugli anfibi portando avanti indagini sulla loro evoluzione, distribuzione territoriale, sulla diversità genetica e sulle cause e correlazioni che ne determinano l’attuale stato di salute. Le ultime indagini mostrano che il 32% delle specie di anfibi è a rischio estinzione: cambiamenti climatici, distruzione degli ambienti acquatici, introduzione di specie alloctone e malattie quale la chitriodiomicosi sono i maggiori responsabili del fenomeno. A Geo&Geo, Nascetti ha parlato delle ricerche su una specie endemica, cioè che vive solo nella penisola italiana: l’ululone appenninico (Bombina pachypus). Questa specie, dal caratteristico canto simile a un tenue ululato, presenta macchie gialle sul ventre e ghiandole sul dorso che, in caso di pericolo, secernono sostanze velenose per i predatori. Gli studi effettuati hanno mostrato il rapido declino della specie e messo in evidenza come, in una particolare area della Calabria, sia presente una popolazione più numerosa e resistente agli attacchi dei patogeni, caratterizzata da una grande variabilità genetica. Eppure, a oggi, nemmeno questa popolazione può dichiararsi immune dal rischio di estinzione.

L'ululone appenninico (Bombina pachypus), una delle specie di anfibi studiate

L’ululone appenninico (Bombina pachypus), una delle specie di anfibi studiate

La fragilità degli anfibi è causata dai cambiamenti climatici che determinano l’innalzamento della temperatura anche nel periodo invernale, dal diminuire delle precipitazioni e dall’abbassamento, o addirittura dalla scomparsa, degli ambienti acquatici. Nel mondo la IUCN ha promosso la valutazione dello stato di conservazione delle specie degli anfibi e, in molti Paesi europei quali Gran Bretagna, Svizzera, e in alcuni paesi del Centro e Sud America, sono nate importanti iniziative per studiare, monitorare e proteggere gli anfibi. Una su tutte è L’arca degli Anfibi a Panama o Yasuni-itt in Ecuador. E in Italia? Malgrado la Direttiva Habitat, sono pochissime le regioni (Toscana, Lombardia, Marche) e le province autonome (Trento e Bolzano) che hanno adottato normative restrittive e coercitive in materia di conservazione degli anfibi.

L’appello è stato raccolto dal Parco Nazionale dell’Aspromonte, che ha avviato un programma di monitoraggio e recupero delle popolazioni aspromontine dell’ululone appenninico e ha presentato, insieme al gruppo di Ecologia del Dipartimento di Scienze Ecologiche e Biologiche, un progetto “Life”, che, nei prossimi mesi, se approvato dalla Commissione Europea, inizierà un percorso analogo a quello sopracitato di Panama o dell’Ecuador.

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