20042024Headline:

In troppi salgono sul carro del vincitore

Riflessioni e considerazioni di varia umanità sorseggiando il caffè della domenica

trentarighe disegnoIl calcio è un’industria. E lo è anche a livello di serie D, un campionato gestito dalla Lega Nazionale Dilettanti, anche se è assai difficile ritenere che giocatori che si allenano tutti i giorni e che non hanno altra attività al di fuori del pallone che rotola possano essere considerati davvero dilettanti. E’ la solita foglia di fico italiana: non prendono lo stipendio, ma vengono ugualmente pagati (talvolta anche molto bene) sotto forma di rimborso spese. Non cambia la sostanza: càmpano di calcio. E con loro tutta una miriade di personaggi di contorno che anch’essi attingono alla munifica mammella di un mondo dove gli euro scorrono con troppa facilità.

Allora, se il calcio è un’industria, valgono le leggi vigenti sulle società di capitali, oltre che naturalmente quelle sportive. Spesso in conflitto tra loro, talvolta anche in contraddizione, ma comunque sempre valide. Che poi una squadra porti il nome della città dove gioca e dove suscita passioni e tifo, questo è un fattore non secondario anche se con eccessiva e stolida frequenza si tende a qualificare il livello dei servizi o della vivibilità della stessa in base alla categoria in cui milita la compagine che la rappresenta. Se, come è auspicabile e ormai abbastanza probabile, la Viterbese salirà in serie C (pardon, adesso si chiama Lega Pro), non è affatto detto che il salto di categoria lo compia anche Viterbo. E’ un sillogismo che non sta in piedi. Trento da anni viaggia nelle primissime posizioni delle classifiche nazionali dei capoluoghi, eppure la sua squadra di calcio (ammesso che ce l’abbia) non si sa neppure in quale torneo giochi.

Piero Camilli, patron gialloblù

Piero Camilli, patron gialloblù

Detto tutto questo, resta da capire come può un tessuto urbano (e anche politico e amministrativo) supportare la compagine che la rappresenta ai massimi livelli calcistici. Innanzitutto, con le infrastrutture che però non possono essere un’esclusiva: vanno trovati i giusti equilibri perché anche il calcio minore e gli altri sport hanno diritti che niente e nessuno può permettersi di calpestare. Il primo passaggio dovrebbe riguardare la sostituzione dei terreni di gioco: bisogna passare al sintetico. Il cui investimento iniziale si ammortizza nel giro di pochi anni, che non si rovina particolarmente anche se ci si gioca e ci si allena molto spesso, che non ha bisogno di manutenzione se non a livelli minimi. Ecco, questa sarebbe una risposta seria sia alle sacrosante richieste dei Camilli che a quelle, non meno accorate e valide, che arrivano dalle società che disputano i campionati regionali (Pianoscarano, Barco Murialdina, Virtus Pilastro, Calcio Tuscia e tutte le altre). E le altre discipline? Stesso discorso poiché i diritti sono uguali per tutti. Si pensi agli sforzi che compiono nel basket la Defensor e la Stella Azzurra per conservare il posto nei tornei nazionali professionistici o, allargandosi alla provincia, a quegli autentici miracoli sportivi nella A2 di volley di Tuscania e Civita Castellana.

Siccome sul carro del vincitore, salgono in molti (anche chi non ne avrebbe alcun diritto), adesso sono tutti pronti ad osannare la famiglia Camilli che sta riportando Viterbo in terza serie. Si dimentica però che quegli imprenditori hanno investito del proprio per arrivare a certi risultati, senza chiedere aiuto a nessuno. Oggi che il traguardo si sta avvicinando, è necessario che il mondo imprenditoriale e politico dia risposte concrete. Altrimenti sono solo chiacchiere. Camilli sfiorò la serie A a Grosseto (che non è molto diversa dal capoluogo della Tuscia) nell’anno d’oro di Pinilla, ma quando si è accorto che la città nella sua intierezza sapeva solo applaudire o fischiare (a seconda dei casi) non ha esitato un attimo a mollare tutto. E’ un rischio che Viterbo può permettersi di correre?

Buona domenica.

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