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Assunta dopo 17 anni. Ma in Veneto

La viterbese Roberta Russo: ''Mi sento umiliata, smetto di insegnare''

insegnanti scuolaSuona la campanella, inizia un nuovo anno scolastico. Tra i banchi siedono gli studenti, ma la confusione viene dalle cattedre dei docenti. Sarebbe meglio dire dalle ”cattedre promesse” dalla Buona scuola a tutti quei docenti che finalmente, dopo anni di precariato, hanno ottenuto l’immissione in ruolo. Ma proprio quando per loro l’instabilità lavorativa sembrava avere avuto termine e il tanto atteso posto fisso essere stato conquistato, la battaglia ricomincia. E tra rabbia e delusione ciò che rimane da fare è rinunciare alla cattedra e quindi al posto di lavoro.

È quello che sta succedendo in questi giorni a migliaia di docenti italiani, così come alla viterbese Roberta Russo. Professoressa di educazione musicale che all’età di 45 anni ha ottenuto, dopo 17 anni di precariato, l’assunzione al ruolo con la 107. Ma Roberta Russo è anche mamma e quando ha ricevuto l’incarico che la portava a lavorare a Cadore nel Veneto, dall’altra parte dell’Italia, si è trovata costretta a rinunciare al posto di lavoro per rimanere vicina alla sua famiglia.

La professoressa Roberta Russo riceve la convocazione la sera del 3 agosto: ”Una doccia fredda – racconta alle pagine de Il Fatto Quotidiano– se non fosse anche che mi sono resa conto che tutti i miei colleghi sono rimasti nella provincia. Dei 14 immessi in ambito viterbese, ben nove di loro hanno un punteggio inferiore al mio”.

Inizia così un’altra battaglia per la professoressa che, senza perdere tempo, si mette subito in contatto con il sindacato fino a scoprire che la sua cattedra assegnata a Cadore è il risultato di un algoritmo sbagliato. Ma è troppo tardi e all’errore non si può rimediare nonostante la docente faccia anche nell’immediato domanda di conciliazione.

”La funzionaria freddamente mi ha infatti risposto Vicenza al posto di Domegge di Cadore – spiega la professoressa -. È stata un’autentica presa in giro: prendere o lasciare! Sono scoppiata a piangere, non mi sono mai sentita così umiliata in vita mia. Tutto l’amore che avevo nell’insegnamento e la passione con cui l’ho svolto sono stati calpestati”.

”Ora ho fatto ricorso al giudice del lavoro – conclude -. Intanto mi sono messa in malattia, chiederò un anno di aspettativa non retribuita rinunciando allo stipendio. Non posso lasciare i miei figli”.

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