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Rosa, la santa dei viterbesi e non solo

In un convegno di studi la riscoperta della vita e delle opere di quella ragazzina

Il pannello che illustra il convegno "1450. Il Giubileo di Santa Rosa"

Il pannello che illustra il convegno “1450. Il Giubileo di Santa Rosa”

Tanta roba. Il convegno dedicato a Santa Rosa, organizzato dall’omonimo Centro Studi, su iniziativa della consigliera comunale delegata alle pari opportunità Daniela Bizzarri, si rivela un’autentica miniera di notizie e informazioni (di primissima mano) sulla patrona di Viterbo. Ricco e di elevatissimo valore scientifico il parterre degli oratori che si alternano (in mattinata in sala Regia, nel pomeriggio presso la Sala del Pellegrino al Monastero) affrontando varie tematiche. Non basta certamente un articolo per descrivere compiutamente quanto si ascolta: ci vorrebbero un paio di volumi. La storia della giovinetta viterbese, nata senza sterno, vissuta meno di vent’anni, poverissima e di famiglia più che umile è uno spaccato della vita di sette secoli fa quando a dominare era Federico II, al quale Rosina seppe opporsi solo con la forza della fede e della preghiera. L’imperatore ne fu così impaurito da ordinarne l’esilio: ma quanti eserciti e quanti carri armati (non c’erano a quel tempo, ma il paragone resta calzante) aveva quella ragazzina indifesa? Nessuno, eppure spaventava il potere e sapeva trascinare il popolo.

Daniela Bizzarri, promotrice della giornata di studio

Daniela Bizzarri, promotrice della giornata di studio

Il tema del convegno è “1450. Il Giubileo di Santa Rosa” in riferimento all’anno santo proclamato da papa Niccolò V. Il monastero aveva vissuto tempi assai grami; le otto monache di clausura che lo abitavano soffrivano letteralmente la fame: non avevano né grano né vino per sfamarsi, annota con ricchezza di particolari una religiosa (probabilmente la camerlenga). Lo testimonia un prezioso manoscritto rintracciato e tradotto in volgare da Eleonora Rava, paleologa e appassionata studiosa di Santa Rosa, che insegna fra l’altro anche alla prestigiosa Università di Saint Andrews in Scozia. E’ in condizioni di estrema povertà (dettate sia dalla regola francescana che anche da un furioso incendio che distrusse quel po’ di provviste che erano riuscite a mettere da parte) che si arriva al fatidico 1450. E qui accade l’incredibile: il culto verso Rosa si è diffuso in varie parti del mondo cattolico e i pellegrini che si recano a Roma per lucrare l’indulgenza, si fermano volentieri a Viterbo (allora la via Francigena funzionava benissimo…) per rendere omaggio al corpo incorrotto della ragazzina che due secoli prima aveva messo in difficoltà l’imperatore. Un afflusso così imponente che tra elemosine e soldi spesi per i cordoncini benedetti il monastero incassa quasi cinquemila ducati nei primi tre mesi. I tempi cupi sono finiti: adesso si può spendere. Le monache prendono la palla al balzo e iniziano a fare investimenti (acquistano orti da coltivare e anche una casa di fronte alla chiesa usata come locanda e probabilmente utilizzata da donnine piuttosto allegre) e poi si dedicano a migliorare e abbellire il santuario. La camerlenga di cui sopra annota tutte le spese e alla fine si arriva ad una cifra imponente: 7636 ducati d’oro. E forse ce ne sono anche altre non riportate nel documento. Si fa di tutto: ai maestri Benozzo Gozzoli e Mario di Amelia ne vanno 300 per opere pittoriche, 150 per i paramenti sacri, 500 per libri, tovaglie e guanciali per le religiose che vivevano in clausura, 700 per le mura intorno alla chiesa (un po’ di sicurezza non guasta mai), 160 per la cucina… Questo solo per citare le uscite più onerose, ma vengono annotate anche le piccole spese di 2-3 ducati.

da sinistra, Letizia Pellegrini, Alessandra Romagnoli e don Alfredo Cento

Da sinistra, Letizia Pellegrini, Alessandra Bartolomei Romagnoli e don Alfredo Cento

La conseguenza di questo rinnovato fervore verso il culto di Rosa è che il Comune spinge sul papa per accelerare la canonizzazione di Rosa e che il pontefice successivo, Callisto III, comincia a darsi da fare per istruire il processo. Sono passati 150 anni da quando Rosa era apparsa in modo miracoloso ad Alessandro IV, ma non ne era scaturito alcun atto concreto, se non la traslazione del corpo nel luogo dove è tuttora custodito. Ne parlano nella loro relazione Eleonora Rava, Filippo Sedda e Attilio Bartoli Langeli. Frate Luca da Viterbo, procuratore e sindaco del capitolo del Comune e delle monache per il processo, si reca ad Acquapendente il 23 aprile 1452 per raccogliere testimonianze su quattro miracoli attribuiti alla santa viterbese.  E’ il popolo tutto a volere che Rosa diventi santa a tutti gli effetti e i governanti dell’epoca non possono che tenerne conto. Per i tre studiosi a sollecitare la pratica fu l’Ordine dei Frati Minori Osservanti, con una citazione particolare per Giovanni da Capestrano, un religioso molto potente che aveva fatto studi giuridici ed era diventato anche governatore di Perugia. All’arrivo dei Malatesta fu imprigionato; in carcere si convertì e quando uscì annullò il matrimonio e prese i voti nel convento di Assisi. Predicatore influente e ascoltato: al centro dei suoi interventi il rinnovamento dei costumi cristiani e una lotta spietata all’eresia, tanto da diventare anche inquisitore contro gli ebrei. Come che sia, il processo di canonizzazione inizia, ci sono le relazioni a testimoniarlo, ma non ci sono atti ufficiali che sanciscono la positiva conclusione del processo. Non importa, perché Rosa è santa per la Chiesa e per il popolo (lo spiega benissimo in punta di diritto canonico Letizia Pellegrini). Ma allora perché il 1450 è stato identificato come il Giubileo di Santa Rosa? Per il semplice fatto che fu quello l’anno in cui, di fatto, cominciò la canonizzazione di quella ragazzina. Tutto qui: vi pare poco?

Il pubblico in Sala Regia

Il pubblico in Sala Regia

Interessanti poi gli interventi in mattinata di Letizia Pellegrini (università di Macerata) sulla canonizzazione di Bernardino da Siena e di don Alfredo Cento (l’assistente spirituale dei facchini) su quella di Bonaventura di Bagnoregio, il tutto coordinato da Alessandra Bartolomei Romagnoli (“Il Centro studi sta facendo una ricerca di valore storico – scientifico fondamentale per riscoprire la storia di Santa Rosa e della sua Viterbo”). Nel pomeriggio, altre relazioni di uguale spessore. In serata, lo splendido concerto in chiesa di Ferdinando Bastianini (pianoforte), Wanda Folliero (violino) e della Corale San Giovanni diretta da Maria Loredana Serafini. Soddisfatta Daniela Bizzarri: “E’ un’iniziativa di caratura internazionale. E’ stata predisposta una delibera di giunta per l’apertura di una tavolo progettuale ‘La vie en Rose’ che vede la presenza di tanti enti ed istituzioni, tra cui appunto il Centro Studi Santa Rosa. Si tratta di un tavolo aperto, al quale è auspicabile la presenza del Sodalizio facchini e della Fondazione Carivit per promuovere progetti europei e non, come gemellaggi e iniziative Erasmus: è un’occasione per dare a Viterbo la possibilità di nuovi posti di lavoro”.

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