*lettera 22 – “pantone”
a cura di Giuseppina Palozzi, psicologa e psicoterapeuta
Il paese è diviso.
Preda di tensioni fredde.
Parti rappresentanti ogni zona d’Italia che non riescono a trovare un incontro.
Un’impasse apparentemente irrisolvibile.
Riconducibile e imputabile ad un’unica grande questione: la pizza Margherita di Cracco.
“è brutta” – “non è la vera pizza” e “non è la vera margherita” – “è gourmet” – “è una rivisitazione stellata” – “ha un prezzo assurdo”.
Ora.
Non mi permetto di entrare nel merito, data la mia maggiore affinità con le studentesse che per un piatto di pasta hanno incendiato una cucina a Firenze piuttosto che con lo chef super-ospitato.
Ma mi chiedo, il problema di chi è?
Chi pretende cosa?
Se i Metallica omaggiano l’Italia cantando Lucio Dalla, per quanto il risultato sia chiaramente distante anni luce dal capolavoro originale, ne stanno davvero inquinando le qualità?
Forse possiamo pensare che ciò che condividiamo, in termini di storia, diventa patrimonio in comune e ci permette infinite sfumature. Ma sono proprio queste che, come in un mosaico, guardando alla giusta distanza, garantiscono compattezza e armonia in un’unica immagine.
Proprio un fotogramma così mi riappare in memoria: l’uscita di scuola.
Tasselli di ragazzini che correvano instancabili e zaini di mille colori che scandivano i movimenti delle spalle come code di cavallo.
Penso al ripristino dei grembiuli in classe.
Penso all’Istituto che ha deciso di fornire zaini uguali per tutti “per non creare disuguaglianze, magari a causa dello scarto tra personaggi veri e non originali”.
Pur rischiando di essere poco politically correct, mi spaventa il parallelismo che mi viene in mente col pigiama a righe. Non certo per la situazione ma per quello che era l’obiettivo: livellare l’identità e dunque annullarla.
Mi chiedo se il rischio non sia poi lo stesso.
Che difficoltà c’è ad accettare che ci siano infinite sfumature?
E soprattutto, di chi è il problema della cosiddetta “disuguaglianza”?
Chi ne è veramente spaventato?
A volte ci sentiamo minacciati dalla diversità perché ci obbliga a metterci in discussione. E ad affrontare emozioni e scambi dove rischiamo che si, ci vengano portate via delle parti o addirittura manipolate fino a stravolgerle, ma anche trasformare qualcosa in un inedito che mai avrà la presunzione di sostituirsi all’originale.
Solo di posizionarsi nel posto accanto creando un’armoniosa sfumatura.
Come lo insegno ad un futuro uomo ad accogliere e accettare la diversità, propria e dell’Altro, se la sua prima classe è un tubetto di colore primario puro?