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“Vincere non è importante: è l’unica cosa che conta”

Lettera 22, la rubrica a cura di Giuseppina Palozzi psicologa e psicoterapeuta

Giuseppina Palozzi

Giuseppina Palozzi

*lettera 22 – “Vincere non è importante: è l’unica cosa che conta”

a cura di Giuseppina Palozzi, psicologa e psicoterapeuta

Il 9 Settembre 2006, mentre ancora risuonava nelle orecchie il “po-popò-po-ppoppò-po” de The White Stripes, altre strisce bianche (e nere) iniziarono a pagare ciò che la tanto chiacchierata Calciopoli aveva sentenziato. È solo a gennaio che i guanti più forti del Mondiale vengono superati di una battuta dal Mantova, in serie B. Quegli stessi guanti che, pur al centro di gossip e polemiche, sembrano ancora oggi imbattibili.

Non solo nella prestazione, ma nel significato.

In ciò che rappresentano, quando l’anno del loro addio ai pali, casualmente, segna pure il primo anno di non classificazione ai Mondiali, sempre data per certa.

Come non ci si sentisse più sicuri.

Come non ci si sentisse più tutelati.

Il calcio cambia costantemente, nelle regole e nelle penalità, negli strumenti, in nome di quel rubare che tanto attiva conflitti e sfottò.

Il controllo oggi, in tutti i campi, diventa lo strumento principe, l’unico percepito come infallibile, ma lo stesso però che provoca disgregazione, divisione.

Esisterà sempre un maratoneta che batte l’oro olimpico solo perché conosce una scorciatoia.

Esisterà sempre l’evasione, la bancarotta fraudolenta, la falsa testimonianza, la corruzione o le forzate (lunghissime e attese) intese pur di salire sul podio.

Uno Stato che incassa ai massimi livelli in Europa col gioco d’azzardo legalizzato sembra fornire alibi a questo tipo di pensiero.

Si, è vero, esisteranno sempre pure i giornalisti fortunatamente. Quelli che si fanno spaccare il naso e che denunciano con la propria integrità.

Ma quanto possiamo delegare a loro il ruolo del VAR?

Che, in ogni caso, sarà sempre dopo, dopo l’azione, solo in cerca di una punizione che innescherà nuovi modi per evaderla.

Credo che il fulcro del cambiamento, quindi, non stia nelle misure contro, nella flat tax, nelle penalità, nelle condanne.

  • “Già quando il caso arriva da noi è troppo tardi.”- così un magistrato riguardo gli eventi della paranza dei bambini a Napoli – “serve un intervento che metta in comunicazione tutti i settori dello stato”.

Ecco, allora forse dovremmo smettere di pensare a regimi punitivi come deterrente e invece promuovere una cultura che riconosca la sana competizione e al tempo stesso il senso di Comunità.

Perché non sono stati gli scarpini firmati e i quadricipiti forti che hanno portato rose di calciatori a confermarsi forza assoluta, bensì il Gruppo.

Quello che riconosce la propria storia e la propria squadra.

Quello che riconosce che è proprio dovere riportarla in A (parafrasando Trezeguet).

Allora invece di pensare alle percentuali, chiediamoci perché sembriamo aver perso il rispetto per la convivenza e collaborazione per lasciare il posto al vincere sull’Altro a tutti i costi.

Pure se a pagarne è lo Stato. Anzi il Siamo.

Forse perché per noi benessere e soddisfazione si misurano sul guadagno del lavoro del futuro.

E non sulla felicità. Neanche a 10 anni.

Sta’ a vedere che ‘sti test INVALSI (acronimo per Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema dell’Istruzione) le sgamano davvero le criticità!

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