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Nella cantina di Palazzo Monaldeschi sgorga ”Il vino nel vulcano”

La nuova sede del Museo territoriale del lago di Bolsena

Macchine, legni e attrezzi originali, prodotti tra la fine del XIX e la prima metà del XX secolo, per la vinificazione. Provengono dalle collezioni Coletti, Porretti, Puri, Zocchi e Buglioni e trovano posto nella cantina del Palazzo Monaldeschi della Cervara (Bolsena, quartiere del Castello), nuova e suggestiva sede espositiva del Museo territoriale del lago di Bolsena, aggiuntasi nel 2011 alla contigua Rocca, inaugurata come sede museale nel 1990. L’invito a scendere al livello ipogeo arriva grazie all’agevole pubblicazione “Il vino nel vulcano” curata dal direttore Pietro Tamburini che sarà in distribuzione a giorni.

In 32 pagine si ripercorrono le tappe che hanno portato nell’estate del 2018 alla musealizzazione della vecchia cantina ricavata nel sottosuolo del palazzo, allo scopo dichiarato di conservare la memoria, per mezzo di ambienti e di oggetti originali, della produzione vinicola domestica praticata nella Città del Lago in epoca moderna. Scavata in un sedimento vulcanico piuttosto incoerente e costituita da due ambienti coassiali, vi si accede scendendo una lunga e stretta scalinata, delimitata dagli scivoli che servivano per calare o sollevare le botti tra il tinaio e la cantina.

”Il tinaio – come ci ricorda il direttore del museo – era il locale al pianoterra in cui avveniva la prima lavorazione dell’uva e la trasformazione del mosto in vino. Quello della cantina di Palazzo Monaldeschi era ospitato in un locale all’esterno dell’edificio, oggi di proprietà privata, con l’ingresso affacciato su Piazza dell’Orologio”. Il dépliant bilingue – italiano / inglese – che guida alla scoperta di un luogo ricco di fascino descrive sinteticamente la funzione di macchine, attrezzi, manufatti in legno, metallo e vetro, utilizzati per la vinificazione in ambito familiare.

A parlare, dunque, sono gli stessi oggetti riportando alla mente dei più anziani antichi gesti e mostrandoli ai più giovani senza il ‘disturbo’ del tradizionale apparato museografico fatto di pannelli, didascalie e numeri, per non “inquinare” l’atmosfera originaria della vecchia cantina, che si è cercato di ricostruire fedelmente sulla base non solo dell’esposizione – la più realistica possibile – degli oggetti originali ma anche delle testimonianze di chi li ha costruiti, posseduti, usati ed ora messi a disposizione della collettività a scopi divulgativi.

Il progetto museologico che valorizza una tradizione vitivinicola mai venuta meno nell’Alto Lazio dal IX secolo a.C. ad oggi, è stato curato dalla direzione scientifica del Museo mentre l’allestimento museografico, che si è avvalso della consulenza di Giovanni Coletti – sua, l’idea di far rivivere la tipica cantina della tradizione bolsenese – è stato finanziato per intero dall’Amministrazione Comunale. Al recupero degli ambienti sotterranei, al loro adeguamento alla nuova funzione museale e agli impianti ha pensato la Società Grafitec di Fonte Nuova.

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