Come in un film di second’ordine c’è lo scenario romantico, una pineta in una bella serata di primavera targata 2007 a Montalto di Castro. Ci sono i protagonisti: una quindicenne e otto suoi coetanei. I quali – da allegri ragazzotti forse pure un po’ bevuti, perché tutti hanno partecipato a una festa di compleanno, ed eccitati – si trasformano in breve in giovani satiri che a turno fanno sesso con lei. E dopo sei anni, dopo varie peripezie giudiziarie e a processo finito, si scopre che la ragazza ha ragione: è vero, fu stuprata, ma per i giudici lo fu senza cattiveria, senza sopraffazione, in maniera, potremmo dire, giocosa? Perché, sempre secondo i giudici, non ci fu coercizione, come se una adolescente circondata da otto ragazzi che la pressano da vicino possa sentirsi libera di decidere cosa fare del proprio corpo.
E allora se quei figlioli approfittarono solo di una situazione particolare, perché condannarli complessivamente a 32 anni di galera come chiesto dal pm del tribunale dei minori? Perché far conoscere l’umiliazione del carcere a loro che pure hanno rovinato l’esistenza di una ragazza? No, comprensione ci vuole e un percorso di reinserimento sociale, una messa in prova, quella stessa che la Cassazione – chiamata in causa dalla procura minorile – nel 2009 aveva bloccato, rimettendo tutto in discussione. Ma c’è poco da discutere: quegli adolescenti, ormai maggiorenni, hanno facce convincenti, se ne stanno lì nell’aula di tribunale ad aspettare la sentenza, mentre la ragazza non c’è, chissà perché. C’è però la madre affiancata dalle donne dell’Udi, quella madre che in questi ultimi sei anni ha dovuto affrontare il disagio inenarrabile di una figlia psichicamente a pezzi, i mormorii neanche troppo sussurrati al suo passaggio, le occhiate storte di chi aveva preso le parti dei maschi contro quella femmina già un po’ “chiacchierata”.
Come se, Salomé del terzo millennio, la quindicenne avesse adescato e convinto all’atto sessuale i suoi compagni di merende. Una quindicenne tanto smaliziata che quando torna a casa, senza che nessuno le abbia chiesto qualcosa o sollecitato delle confidenze, vuota il sacco con la madre e racconta lo stupro.
E’ lecito supporre che magari la ragazzina fosse andata sua sponte nella pineta per far sesso con un amico di suo gradimento, ma che avesse accettato senza ribellarsi di dividere l’esperienza con altri sette ragazzi, è un po’ dura da mandar giù. Ma la giustizia in questo caso non solo s’è bendata, ma s’è anche tappata il naso per non sentire puzzo di bruciato.