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Play-off a un passo: ma chi paga?

I tifosi della Viterbese

I tifosi della Viterbese

C’è un paradosso grosso come la capoccia di Matias Vegnaduzzo (che è grossa, molto grossa) che farebbe pure ridere, se non ci fossero di mezzo le sorti di una squadra, di una tifoseria e, per esteso, di una città. Il paradosso suona grossomodo così: la Viterbese è vicinissima ad andare ai play-off sul campo, ma rischia di andarci a piedi. E giù, risate di frustrazione. Eppure, lo scenario è plausibile, è possibile: perché nelle casse di via della Palazzina non c’è un euro, e non da oggi, e la prospettiva di allungare la stagione per qualche altra settimana è tremendamente reale, almeno a leggere la classifica. Già, perché i gialloblu sono terzi – a pari merito col Sansepolcro, con il quale giocherà domenica prossima – nel girone E della serie D, con nove punti di vantaggio sul Deruta, cioè sull’ultimo posto utile per andare alla seconda fase (alla quale accedono quattro squadre, dalla seconda alla quinta).

Intendiamoci. Qui non dispiacerebbe a nessuno andare ai play-off. Innanzitutto perché mancano da un sacco di tempo, dal campionato 2008-09, eliminazione contro il Renate, Max Favo in panchina e un altro capoccione in attacco, Sandro Ambrosi. E poi perché il gruppo di oggi, quello guidato con polso fermissimo da Massimiliano Farris, se lo meriterebbe al cento per cento. Insomma, proseguire la stagione, sognare la promozione, servirebbe sia a ridare fiducia ad un ambiente depresso e umiliato, sia a rendere onore ad una squadra che non ha mai mollato, che ha impartito lezioni di calcio anche alle presunte favorite e che è rimasta in corsa per il successo finale fino a poche settimane dalla conclusione.

Tutto molto romantico. Peccato che poi dietro ai legittimi entusiasmi della piazza e alle indubbie qualità tecniche dei giocatori ci sia da fare i conti con la tragica situazione societaria. O non-societaria. Già, perché le dimissioni del presidente Graziani e del suo vice Vestri, ormai datate un mese e mezzo fa, hanno scoperchiato il vaso di Pandora, disperando nell’aria i veleni e i buffi (leggi: debiti) di un club ormai arrivato con l’acqua oltre la gola. Sommerso, e con la riserva d’aria che si sta esaurendo. I soldi sono finiti da un pezzo, e non solo quelli per pagare i rimborsi spese dei giocatori (che comunque dispongono di tutte le garanzie del caso appellandosi agli organi federali): non c’è il becco di un quattrino anche per pagare il vitto e l’alloggio dei giocatori stessi, le bollette dell’acqua per innaffiare il campo (erogazione sospesa già alcune volte e poi miracolosamente ripristinata grazie all’intercessione dei soliti amici), l’affitto di altri campi per gli allenamenti e soprattutto le trasferte. Sì, la Viterbese di oggi non ha neanche i fondi per pernottare e andare a giocare a Scandicci, o a Valfabbrica, viaggi tutto sommato brevi. E allora, chiede il distratto, come ha fatto finora ad onorare tutti gli impegni? Semplice: è stato possibile far fronte alle spese più urgenti e inderogabili (pagamento del pullman, degli alberghi, dei ristoranti) soltanto grazie al buon cuore dei tifosi. Che hanno sganciato di tasca propria i lilleri necessari. La cara vecchia colletta da sempre in voga nel calcio dei poveri, e che a Viterbo sta vivendo una seconda giovinezza: ci sono dei punti di raccolta sparsi per la città, s’organizzano eventi e concerti di solidarietà, e la domenica si può versare qualcosa anche allo stadio nelle apposite urne. Finora, la colletta ha funzionato in modo commovente: i tifosi hanno sempre risposto presente, alla faccia della crisi che ha tolto il lavoro anche a molti di loro. Ha contribuito privatamente qualche dirigente sopravvissuto, che però non ci tiene ad apparire. Ad apparire, invece, ci tengono eccome i politici, anch’essi contribuenti della colletta e soprattutto già in aperta campagna, campagna elettorale.

Ma a parte i successi di questi primi tempi, sull’onda dell’entusiasmo e della tanta decantata “viterbesità”, quanto potrà durare la colletta? Basterà la questua a garantire ai gialloblu una decorosa appendice di stagione? Il rischio è di dover giocare almeno un’altra gara in trasferta, forse due, forse ancora di più qualora – auguriamocelo – si acceda anche alla fase nazionale dei playoff. Più si vincerebbe, insomma, più soldi si dovrebbero rimediare. Hai voglia a collette, allora, sarebbe tutto uno scollettare quotidiano. E a termini di regolamento va aggiunto in conclusione che vincere i play-off (impresa già di per sé titanica, e mooooolto lunga) non garantisce neanche l’accesso automatico tra i professionisti. Già, potremmo arrivare a fine giugno con una Viterbese vincente ma dissanguata, soltanto per il gusto perverso di alzare una coppa al cielo. Una coppa che non conta niente. Ah già, per chi vince i play-off la Lega nazionale dilettanti ha previsto anche un premio: un assegno di trentamila euro. Che non risolverebbe un beneamato. Trecentomila, ce ne vorrebbero, per rianimare la Gialloblù.

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