Il gufo è un animale simpaticissimo. Discreto, sedentario, pacioso. Se ne sta appollaiato su un ramo per tutto l’inverno e agisce solo di notte. Nella tradizione fiabesca e nel mondo dell’animazione è quasi sempre rappresentato come un animale saggio ed erudito, che diffonde la sua cultura a tutta la comunità animale con cui entra in contatto, ma è anche molto pignolo e permaloso. Un valido esempio ne è Anacleto, il gufo che vive col mago Merlino nel film “La spada nella Roccia”, della Disney. Da gufo deriva però il verbo gufare, che nel registro colloquiale, vuol dire portare sfortuna, o sfiga, come si dice adesso.
Ebbene, all’ombra di palazzo Papale quello del gufare sembra essere perennemente lo sport preferito dai viterbesi. O meglio, da certi viterbesi, che entrano in azione imperterriti non appena la città riesce in qualche modo ad alzare la testa e ad uscire da quell’aurea mediocritas di cui si è sempre beata nel corso degli anni. L’ultimo esempio in tal senso riguarda Caffeina, la manifestazione che ha cambiato e sta cambiando Viterbo.
Su Caffeina non ci dovrebbero essere dubbi di sorta, solo che si analizzassero i fatti col giusto distacco: è la manna per Viterbo perché per la prima volta è stata creata una kermesse capace di uscire dalle mura cittadine. Può diventare come il festival dei Due mondi di Spoleto (ma vi sembra poca cosa portare al Parco del Paradosso i finalisti del premio Strega?), a patto che la città collabori fattivamente alla sua crescita. E invece? E invece i gufi sono subito pronti a entrare in azione, a trovare il pelo nell’uovo, a denigrare, a sfasciare. Solo per il gusto di farlo. O perché la si vuol buttare per forza in politica.
E qui il riferimento non può che andare al padre spirituale di Caffeina, quel Filippo Rossi che – insieme ad Andrea Baffo – l’ha creata e che ad un certo punto della sua vita ha voluto provare a fare l’amministratore con il percorso che tutti conosciamo. Ora, chi scrive è al di sopra di ogni sospetto in quanto sul Filippo Rossi politico è stato tutt’altro che tenero, ma sa distinguere e distingue: quindi, Caffeina non si tocca. Su Filippo Rossi un’unica riflessione (opinione strettamente personale): avrebbe fatto bene, anzi benissimo, a continuare a fare quello che ha fatto in questi sette meravigliosi anni, senza gettarsi nella mischia. Non avrebbe creato alibi ad alcuno.
Ma Caffeina va difesa, coccolata, allevata, aiutata a crescere ancora perché può (e deve) rappresentare un futuro diverso per la città e i suoi abitanti. Caffeina non è di Filippo Rossi, ma di Viterbo. Chi non lo comprende è solo accecato dall’ira o non vede al di là del proprio naso. La città, le istituzioni, i media avrebbero il dovere di stringersi attorno a questa iniziativa ed essere “tutti d’un sentimento”, Santa Rosa permettendo.
Invece si preferisce gufare, dileggiare, irridere. Per poter tornare a sguazzare indisturbati nelle miserie che purtroppo hanno contraddistinto Viterbo nei lustri e che consentono ai gufi di galleggiare nella mota. Quella prodotta da loro stessi.
Caro Sassi,
gufare, alla maniera del maleolente e fioritianbattistoniano big but stinky jornalist (che ora che non è più partner-sponsor di Caffeina scopre all’improvviso che non è oro bensì sterco tutto quello che luccica), non è certamente bello, ma leggere in un comunicato della famosa (solo ed esclusivamente per i viterbesi) manifestazione kulturale che alla stessa sono attesi “400 mila visitatori” (strasic!), fa venir voglia di esibirsi in una sonora pernacchia o di iscriversi immediatamente a Casapound (con buffetti e sberloni annessi e connessi).