Talete fa acqua da tutte le parti. E non solo per l’emergenza arsenico, che ha gettato nel caos tutta la gestione del servizio idrico integrato nell’Ato 1 Lazio Nord. In subbuglio ci sono soprattutto i conti della società pubblica, quelli non tornano proprio mai. Già in passato il deficit della spa ha riempito pagine di giornali. Poi è arrivato il metallo pesante ad aggravare lo stato di salute: costi maggiori (tra cui quelli per la manutenzione ordinaria degli impianti di dearsenificazione nonché, per fare un esempio, per la bolletta elettrica) e anche minori incassi, visto che per protesta contro la non potabilità delle acqua molti utenti hanno smesso di pagare i bollettini di Talete.
A denunciare di nuovo la gravità della situazione sono la categoria Femca e la segreteria della Cisl. “Talete – sostengono – ha accumulato un pesante debito finanziario che non riesce ad onorare, mettendo a rischio la continuità del servizio e la stabilità dell’occupazione degli addetti ai lavori. Si continua ad operare in un quadro contraddistinto da condizionamenti e rigidità burocratiche che non favoriscono di certo la piena e completa operatività aziendale”.
Ne consegue la richiesta da parte del sindacato di intavolare un confronto per capire come uscire dall’impasse, garantendo sia il servizio al cittadino sia i livelli occupazionali. “È necessario – sostiene iil sindacato – sollecitare la Regione affinché venga riformato il settore, così da superare le complessità oggi evidenti e rilanciarlo attraverso una nuova legge in grado di restituire certezza operativa alle aziende interessate, consentire gli investimenti resisi improcrastinabili e fornire, in definitiva, un servizio di qualità a tutti gli utenti”.
Il quadro attuale non fa onore a un Paese civile. “La risorsa idrica fornita ai cittadini – concludono – registra un notevole regresso sia nella qualità che nella quantità, come evidenziato anche dalla spinosa questione della presenza di alte concentrazioni di arsenico nell’acqua. Sul versante depurazione, infatti, Viterbo e il Lazio sono lontani dagli standard ottimali che il servizio dovrebbe avere”. Migliaia di persone sono da mesi senza acqua potabile, costrette a rifornirsi alle fontanelle. Solo una proroga in extremis di 90 giorni ha impedito che in una decina di comuni non in regola coi potabilizzatori dal primo luglio fossero chiusi i rubinetti. Insomma, proprio una situazione da terzo mondo.