“Pensavo che la Viterbese fosse la lepre, e invece è soltanto un abbacchio”. Ancora: “La Viterbese farà la fine degli arrosticini sulla griglia”. E no, benché fosse ora di pranzo, il presidente del Rieti Franco Fedeli non stava declamando il menù della rinomata trattoria “Da Gigi il troione” (piatti tipici, prezzi modici). Parlava di calcio, riferendosi al pareggio dei gialloblù in quel di Ladispoli – un 3-3 arrivato al novantesimo – e alla concomitante vittoria di misura dei suoi in quel di Soriano.
Aggancio in vetta, entrambe a quota 16 punti, e ci può anche stare, così come ci può anche stare che la Viterbese, dopo un avvio di campionato fatto di cinque vittorie su cinque, incappasse prima o poi in un rallentamernto. Che sia arrivato sull’Aurelia, contro un onesto Ladispoli e su un campo in terra, pure è tollerabile. Quello che invece sorprende, è l’attacco diretto del numero uno reatino, un attacco che, se ci può stare da un punto di vista sportivo – derby, rivalità, gara tra presidenti a chi ce l’ha più lungo – è andato a sfruculiare il suo rivale viterbese, Piero Camilli. Già: abbacchi, arrosticini, proprio quelle carni ovine che l’azienda di Camilli, la Ilco, lavora ed esporta, leader in Italia e orgoglio dell’alta Tuscia.
Una caduta di stile? Di sicuro, perché non c’è niente di male ad aver fatto fortuna con le carni ovine, a sgobbare seriamente e duramente, a dare tanti posti di lavoro a operai, tecnici, impiegati, dirigenti, autotrasportatori e varia umanità. Come dire a Moratti “sporco petroliere”, a Lotito “spazzino” perché ha imprese di pulizia, a Della Valle “scarparo” (così in effetti lo chiama Dagospia…), a Galliani “antennista”. Cose così. E a Fedeli, che possiede una catena di supermercati, cosa si dovrebbe dire? “Pizzicarolo”, “norcino” (lui, che viene da Cascia, a pochi chilometri da Norcia)? No, queste etichette non vanno bene. Perché un conto è ciò che si fa nella vita privata, lavorativa, e un conto è il calcio. Dove i giudizi arrivano solo ed esclusivamente dal campo, a prescindere dagli interessi dei presidenti, soprattutto poi quando sono onesti e ambiziosi e vincenti come i Camilli, Che hanno replicato sfoggiando un impeccabile stile britannico: “Il problema di Fedeli è uno solo. Che quest’anno arriverà secondo”, ha detto il giovane Vincenzo. Un gigante di talento, rispetto ai paragoni animaleschi arrivati dall’altra parte.
Certo, oggi, col campionato che è appena iniziato, i tifosi hanno capito una cosa. Che Viterbo e Rieti – qui citate non in ordine alfabetico – hanno rispolverato la vecchia, cara rivalità. No, non quella calcistica, mai approfondita per evidenti ragioni: col pallone, tra la Tuscia e la Sabina non c’è mai stato paragone. D’accordo: sotto al Terminillo avranno anche visto la serie B, una volta, settant’anni fa, ma poi dove sono finiti? A sguazzare tra Eccellenza e serie D, in uno stadio troppo bello e troppo grosso per contenere un campionato regionale, o al massimo inter (sempre regionale).
La rivalità, invece, c’è stata nel basket, per pochi, roventi anni nella seconda metà dei Novanta. Nello sport della palla dentro al cesto, a Rieti sono sempre stati dei draghi, ma Viterbo ad un certo punto insidiò il loro primato. Furono derby incredibili, scintille dentro e fuori, tra la Sebastiani nobile decaduta, e l’emergente Libertas di Enzo Colonna e Primo Michelini. Che spesso, a sorpresa, ebbe la meglio, anche se poi il basket è mondo ambiguo, pieno di scorciatoie e ripescaggi, specie per chi ha peso politico. Palazzetti pieni, striscioni irriverenti (“Il Ratto lo dice, sabina meretrice” da una parte,”Noi Coppa Korac” dall’altra) e uno spettacolo indimenticabile. Che si pensava fosse finito lì, con la scomparsa della Libertas e le peripezie della Sebastiani. E che invece oggi ritorna di prepotenza, con un campionato intero ancora da giocare, tante polemiche ancora da inventare, e il dubbio che già s’insinua: ma l’agnello sabino non è delizioso come è anche di più di quello della Tuscia? Bisognerà fare una sfida culinaria, prima o poi, magari a ridosso dei due derby previsti in calendario. Nell’attesa, ripetere come un mantra: “Vieni avanti, reatino”.