18042024Headline:

Un volantino galeotto riaccende la rivalità

Torciata in curva nord

Torciata in curva nord

Un volantino, anche se gli anni Settanta sono finiti da un pezzo. Un volantino con l’invito ad andare tutti a Viterbo “perché la gente cambia, ma l’odio resta”. Lo hanno scritto gli ultras del Rieti, e lo stanno facendo circolare per la città ai piedi del Terminillo, in previsione del derby del 22 dicembre prossimo allo stadio Rocchi, contro la Viterbese. Niente di strano, se non fosse che su quel pezzo di carta – invece magari di una stella a cinque punte – sia finito (non si sa come, non si sa perché) anche lo stemma del Comune sabino. L’assessore allo Sport si è dissociato, e ha invitato a stemperare gli animi. Ma si possono davvero stemperare gli animi, in vista di questa partita ancora lontana da calendario, ma già vicinissima per i bollenti spiriti?
La rivalità d’altronde è come l’attività letteraria di Bruno Vespa: puntuale, e dura a morire. E questa tra Viterbo e Rieti è intrigata in una serie di avvenimenti sportivi racchiusi in meno di vent’anni, gli ultimi. Nata col basket, con le memorabili sfide degli anni Novanta, con la città dei Papi che tentava di ripetere a livello maschile i trionfi ottenuti con le donzelle negli Ottanta. Un’ambizione legittima, e cullata per un paio di stagioni, forse tre: la promozione in B d’Eccellenza, la cavalcata fino alla finalissima con Livorno l’anno successivo e l’illusione del terzo anno, coi playoff sfumati sul più bello. C’era Rieti, sulla strada di quella Libertas, e c’erano i derby feroci e indimenticabili al PalaCimini qui, e al PalaSebastiani lì. Allora si affinò la rivalità, coi tifosi di calcio “costretti” a salire a palazzo per vivere un’atmosfera che all’epoca nessun’altra sfida pallonara avrebbe saputo eguagliare. Invasioni reatine da una parte, drappelli di coraggiosi viterbesi nel settore ospite dall’altra. Scaramucce verbali e poco fisiche, coreografie spettacolose, un duello breve ma intenso a chi faceva meglio, chi urlava più forte, a prescindere dal risultato sul parquet.
Quella fu l’incubazione del rapporto. Poi, fallito il basket (sia a Viterbo, sia più volte a Rieti), ecco il football. Viterbese e Rieti si ritrovano in C2, in incroci molto meno scintillanti dentro e fuori al campo. Fino a quest’anno.
Quando l’incredibile piega degli eventi ha portato la Viterbese in Eccellenza (con il trasferimento della Castrense nel capoluogo) e il Rieti pure, intruppato nel massimo campionato regionale da qualche tempo, ormai. Si capì subito che sarebbero stati guai: le uniche due rappresentanti di capoluogo di provincia nel girone, due società ambiziose e ricche, due organici di qualità assoluta, un solo posto per la promozione diretta. E’ bastato il primo inciampo dei gialloblu, poi, per far dire al presidente amarantoceleste, Fedeli, “pensavo che la Viterbese fosse la lepre, invece è solo un abbacchio”. Già, gli agnelli che il presidente Camilli lavora come pochi, in Europa, nella sua azienda. A quel punto, col Rieti che sorpassava in testa alla classifica i cugini, la miccia era accesa. Il volantino è un’altra provocazione che però sembra lasciare piuttosto indifferenti i tifosi della Tuscia. Almeno per ora.
C’è ancora tempo per cercare di spegnere l’innesco, visto che mancano due settimane. Di certo, certi personaggi pubblici (anche politici) che hanno un minimo di visibilità, potrebbero aiutare il clima con qualche dichiarazione morbida, e non con altre frecciate da aggiungere al mucchio. Ma già, cosa aspettarsi da esponenti che hanno ribadito più volte – sia a Viterbo sia a Rieti – la loro contrarietà ad un ipotesi di fusione delle due Province, perché realtà troppo distanti sia geograficamente sia come usanze, tradizioni, economia e problematiche? Ciò che la politica non vuole unire, il calcio divide. E giustamente.

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1 Commento

  1. Giorgio Molino ha detto:

    Sulla Viterbese incombe la maledizione del tifoso per interesse elettorale Filippo Rossi da Trieste. Consigliamo ai veri tifosi di munirsi di corni, gobbetti, ferri di cavallo e chiodi per difendere la loro squadra del cuore dalla maledizione dell’esiziale energumeno di origini triestine.

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