Da Corchiano, paese all’avanguardia per certi temi (vedi la raccolta differenziata), ad altri Comuni del Lazio, per un totale di 39, con le firme di oltre 40mila cittadini. Per fare cosa? Un referendum propositivo, come prevedono le norme, sull’acqua pubblica. Ma il consiglio regionale ieri ha giocato d’anticipo, recependo le istanze, e approvando all’unanimità una legge nuova di zecca.
Primo punto, di partenza e anche di arrivo: è stabilità che “l’acqua è un bene naturale e un diritto umano universale”. Secondo: “tutte le acque superficiali e sotterranee sono pubbliche e non mercificabili”. E ancora, variazione sul tema: “La gestione del servizio idrico integrato deve essere svolta senza finalità lucrative e ha come obiettivo il pareggio di bilancio, persegue finalità di carattere sociale e ambientale”. E via, un profluvio – è il caso di dirlo – di dichiarazioni di trionfo, anche da parte dei nostri consiglieri regionali, da Enrico Panunzi del Pd (“Uno straordinario risultato legislativo”), a Riccardo Valentini di Per il Lazio (“Una legge all’avanguardia che apre nuove prospettive per la gestione del territorio”), fino a Daniele Sabatini del Nuovo Centrodestra (“Abbiamo ritenuto doveroso, che fosse introdotto nella legge anche il principio di assicurare ai cittadini che l’acqua sia salubre e possa essere adoperata per tutti gli usi umani, a partire da quello alimentare”). Il che, in terra d’arsenico e vecchi sospetti, non è mica cosa da poco.
Ma la legge provocherà anche una bella rivoluzione sul territorio, visto che prevede l’abolizione dei vecchi Ato, cioé gli Ambiti territoriali ottimali, e istituirà dei bacini idrografici di riferimento. Vale a dire: l’acqua prelevata dovrà essere rapportata alle capacità naturali del territorio, onde evitare il rischio di prosciguare riserve e sorgenti e di rimanere a secco. C’è un limite di sei mesi affinché la Regione individui i bacini, ciascuno dei quali sarà gestito – attraverso delle assemblee – da un’autorità di bacino gli enti locali di quel territorio. Che saranno anche proprietari degli impianti. Prevista anche la possibilità, per quei Comuni che erano passati ad aziende di gestione private, di tornare sui loro passi e di subentrare alle società.
E proprio su questo aspetto si gioca la partita futura. Già, perché se è vero che gli Ato sono stati aboliti, ora la palla passa ai sindaci. Quegli stessi sindaci che negli ultimi anni hanno disertato con una puntualità svizzera tutte le riunioni di questo organismo, almeno per quanto riguarda la Tuscia. L’ultima volta è accaduto il 7 marzo, con il presidente della Provincia Meroi giustamente imbufalito. E dire che si sarebbe dovuta approvare la predisposizione tarriffaria per il biennio 2012-13, dopo vari solleciti delle autorità competenti. E invece nulla di fatto causa mancanza di numero legale. “Purtroppo – aveva constatato amaramente Meroi – è stata reiterata, ancora una volta, la scelta di non voler trattare da parte dei primi cittadini Ato, un argomento importante che riguarda la stragrande maggioranza dei cittadini della provincia viterbese”.
Non resta che sperare che la nuova legge, coi suoi principi di libertà, uguaglianza e fratellanza (giusto per volare basso), promossa anche da molti sindaci a partire dal corchianese Bengasi Battisti, risvegli nei primi cittadini una coscienza civica che consenta loro di far funzionare l’autorità di bacino. Sennò sarebbe una beffa: liquida, ma sempre beffa.
Acqua pubblica: adesso tocca ai sindaci
di Andrea Arena
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Certo che lo sanno: i sindaci locali sono notoriamente onniscienti.