Diamo due numeri va. Centoquaranta gli allievi provenienti da tutto il mondo. Centottantamila le persone che hanno buttato un occhio sul profilo Facebook. 4.465 gli spettatori. Di cui 1.925 per le serate a pagamento. Ventiquattro gli accrediti stampa. Dodici gli insegnanti (più gli accompagnatori). Venti quelli dello staff. Una media di 300 teste per i sei concerti sul dopocena. E ancora: 1300 i pernottamenti tra hotel, b&b, case vacanze e via dicendo. Per un festival che è costato 61.834 euro ed ha incassato in totale 58.000 euro. Trentaquattromila euro sono invece partiti per gli artisti, 2.700 ci sono voluti per farli dormire e mangiare, 4.630 inoltre, tra service, audio, luci, tecnici e allestimenti. Il Comune ha dato un contributo di 10.000 euro. Altre 3.000 ne ha messi la Carivit. Punto. Anzi no, il Blitz (dove si chiudevano le serate, non ha mai abbassato la saracinesca prima delle 4).
E questi sono i dati (reali) del Tuscia in jazz. “Lanciamo una nuova modo – dice sciorinandoli il direttore Italo Leali – Facciamo capire come spendiamo i soldi. Giacché una parte di essi sono di tutti. E così lavoreremo ogni volta che metteremo in piedi qualcosa. Spero che qualcuno ci segua”.
L’operazione trasparenza (ovvero la conferenza stampa fiume) è durata quanto il discorso di fine anno del presidente della Repubblica. Ma quanto meno ha piacevolmente chiarito ai presenti come ha operato il gruppone Leali durante la cinque giorni viterbese. La prima. “Di una lunga serie – replica entusiasta il sindaco Leo Michelini – Perché è filato tutto liscio. Ed è emersa, sopra ogni altra cosa, la qualità. Invito quindi Italo a replicare nel 2015 e negli anni a venire. Dobbiamo diventare una città anche termale. Laddove ‘l’anche’ sta per queste cose. Manifestazioni che non stonano (mai verbo fu più azzeccato, ndr) all’interno delle mura. E che ci rendono famosi non solo in Italia ma in tutto il mondo”.
E non solo nelle poche serate conclusive. Ma durante tutto l’anno. Giacché il Tuscia in jazz è (secondo la bibbia di settore Jazzit) il secondo miglior posto dello Stivale dove studiare. Primo Siena, che però ha dalla sua un conservatorio. Dell’Umbria in jazz manco e se ne parla. Tanto per rendere l’idea. E poi c’è la direzione artistica del festival a La Spezia, il più vecchio e importante. “Affidato a questi quattro pazzi”, chiude proprio Leali. Che, tanto per tornare ai numeri, non ha messo in tasca nemmeno un centesimo.
“Ero fortemente invidioso – ora parla Paolo Moricoli, più da appassionato che da amministratore, come poi lo stesso Michelini – seguivo il Tuscia a Ronciglione, a Bomarzo, ovunque. Averlo portato qua, ed aver riscosso questo successo, è per me è per tutti un grandi motivo di vanto”.
Il lavoro è già ripartito. A testa bassa. Appuntamento tra 365 giorni.