Stando ai fatti, e aspettando una piacevole quanto improbabile smentita, pare proprio che siamo nuovamente dinanzi alla più classica delle “storie all’italiana”.
Ma partiamo dal principio. Tre giorni fa arriva in redazione una bella mail. Una missiva che annuncia entusiasta lo sbarco di un novello direttore in quel di Palazzo Farnese. A Caprarola d’altronde, così come pure a Bagnaia (leggi Villa Lante) ed in altri luoghi pubblici dal valore indiscusso, urge una scossa. Lo si scrive da sempre. “Abbiamo tutto – ci si sente ripetere da sindaci e compagnia danzante – Valorizziamo quindi questo territorio. Usciamo dalla crisi basando l’economia sul turismo”.
Belle parole. Ottimi intenti. E gioia suprema nel sapere che il gioiello caprolatto è stato messo nella mano di un vero professionista. L’architetto capitolino Giovanni Belardi. Che, notizia ricavata dalla letterina di cui sopra, è colui il quale da vent’anni manovra un colosso mondiale qual è il Pantheon. Per non parlare poi degli altri innumerevoli et prestigiosi incarichi che ricopre. In sostanza: il tipo ha un curriculum lungo così. È senza dubbio l’uomo adatto per risollevare il Palazzo. Tò, volendo anche per fare in modo che la struttura non chiuda il lunedì come le parrucchiere. Per non parlare poi del fatto che se non fosse per i volontari (ergo: gente non pagata) molte delle attività e delle rappresentazioni interne non sarebbero mai esistite e mai potrebbero proseguire.
Ma veniamo al dunque: sentiamolo, questo direttore. Facciamoci quattro chiacchiere. Che tanto il suo “fisso” sta sempre in quella mail lì. “Pronto – risponde la segretaria, alla quale viene chiesta l’intervista – Deve comporre un altro numero”.
Primo tentativo andato a vuoto. Vai col secondo appello: “L’architetto è in riunione – segretaria numero due – appena finito la faccio richiamare, lasci i suoi dati”.
Settantadue ore dopo siamo ancora qua, in attesa di sapere come si sta a Caprarola, quali sono le urgenze, come si intende operare in sede. E nel mentre scappa fuori anche la grana tra Comune e Sovrintendenza. Un pasticcio diplomatico legato alla proprietà del parcheggio, ai mezzi che vi transitano dentro, a soldi da pagare o da ricevere (per approfondire l’argomento basta leggere Viterbonews24 di ieri e anche di oggi).
Chiusura. La provincia è perennemente soffocata dalla “fame nera” della Capitale. Le potenzialità della Tuscia sono note a chiunque, almeno quanto l’immobilismo che la caratterizza. Come finirà?