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Maria Lorenza e Loretta, sorelle di grano

Dopo quattro generazioni, le Di Simone sono diventate manager. Ma sempre nella tradizione

Maria Lorenza e Loretta Di Simone durante GeoGeo

Maria Lorenza e Loretta Di Simone durante Geo&Geo

E’ una storia che parte da lontano, da molto lontano. La raccontano Maria Lorenza e Loretta Di Simone davanti alle telecamere di Rai3 durante il programma Geo&Geo, in onda quotidianamente e condotto da Sveva Sagramola. Spigliate, spiritose, tutt’altro che a disagio di fronte ad una platea di qualche milione di telespettatori. Che avessero le idee chiare lo si era capito da tempo, ma averne un’ulteriore dimostrazione in diretta tv conferma che queste due ragazze hanno davanti una strada lastricata di soddisfazioni. “Non è stato facile – affermano all’unisono – perché il mondo dell’agricoltura è fondamentalmente maschilista e quindi per noi donne le difficoltà non sono state poche e tuttora sussistono”.

In studio con la conduttrice Sveva Sagramola

In studio con la conduttrice Sveva Sagramola

Il racconto comincia da quando, quattro generazioni fa, il bisnonno delle due imprenditrici cominciò a spostarsi dalle natie Marche verso la Maremma, acquistando appezzamenti destinati essenzialmente alla coltivazione di cereali e al pascolo. Perché lui di mestiere faceva essenzialmente l’allevatore più che l’agricoltore. Le cose andarono abbastanza bene e la famiglia decise di trasferirsi armi e bagagli sulle sponde del Tirreno. E qui cominciano ad entrare in scena nonno Amedeo e nonna Lorenza, papà Amedeo e mamma Antonietta (che è in studio con le figliole). La produzione comincia a diversificarsi, ma la vera svolta arriva quando a prendere in mano l’azienda sono Maria Lorenza e Loretta.

Mamma Antonietta, in studio anche lei

Mamma Antonietta, in studio anche lei

Che, a dire tutta la verità, non è che avessero mai avuto direttamente a che fare con quel tipo di attività. “Beh – spiegano – in campagna tutti danno una mano. Grandi e piccoli, uomini e donne, anziani e bambini. Anche noi potevamo contribuire a renderci utili secondo le nostre possibilità”. Non c’era però nessun segnale che lasciasse presagire la situazione attuale: Loretta cominciò a studiare giurisprudenza e si laureò; Maria Lorenza optò per economia e commercio e anche lei arrivò al dottorato. Ma fu la tesi sul business plan di un’azienda a far scattare la molla. “Se lo possiamo fare per gli altri, lo possiamo fare anche per noi”, si confidarono e così piano piano iniziò l’impegno diretto nell’impresa di famiglia.

Il grano senatore Cappelli

Il grano senatore Cappelli

Oggi le aziende sono due: la Viola e la Turchina, una a Tarquinia e l’altra a Montalto di Castro. Caratterizzate entrambe da un binomio che solo apparentemente è contraddittorio: tradizione e innovazione. “Nell’era di internet – spiegano sorridenti dagli schermi di Rai3 – e dell’economia globale, qualcosa va cambiato. Bisogna adeguarsi, bisogna innovare ma sempre restando nel solco delle nostre tradizioni e delle nostre peculiarità”. E qui c’è anche da segnalare un piccolo colpo di fortuna: un sacchetto di semi del grano senatore Cappelli (senatore abruzzese del Regno d’Italia, che, negli ultimi anni dell’Ottocento, assieme al fratello Antonio, aveva avviato le trasformazioni agrarie in Puglia e sostenuto il genetista Nazareno Strampelli nella sua attività, mettendogli a disposizione campi sperimentali, laboratori ed altre risorse). Si tratta di un tipo di frumento particolare, coltivato fino al 1975 e poi abbandonato, con caratteristiche organolettiche straordinarie e a basso contenuto di glutine (tollerabile insomma anche dei celiaci).

Lultima trebbiatura con i metodi tradizionali: era il 1959

L’ultima trebbiatura con i metodi tradizionali: era il 1959

Loretta e Maria Lorenza piantano i semi e cominciano a produrre: oggi con quel grano si fa la pasta, dal particolare sapore, e si fanno tutti i prodotti derivati, compresi i muffin. Ma l’attività si amplia ancora con il farro monococco (caratterizzato da una sola catena di cromosomi e assai digeribile, nonostante contenga un’elevata quantità di proteine). E ancora legumi, orzo per uso zootecnico e altre colture, tutte caratterizzate dall’aggettivo “bio”. E non è stato abbandonato l’allevamento (ecco il lato tradizione…) con animali rigorosamente allo stato brado e con la chicca degli asini, amorosamente seguiti perché “loro sono il nostro allarme antincendio naturale”.

Una storia cominciata qualche decina di lustri fa oggi si tinge di modernità e di tradizione. In bocca al lupo, dottoresse Di Simone: ve lo meritate davvero.

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