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Dopo 40 anni, il caso Moro resta un mistero

Incongruenze e contraddizioni al Salotto delle 6: ne parla Marcello Altamura

Marcello Altamura e Pasquale Bottone al Salotto delle 6

Marcello Altamura e Pasquale Bottone al Salotto delle 6

Perché, ancora oggi, a 38 anni di distanza dall’agguato di via Fani, il “caso Moro” è ancora un mistero? “Perché così non c’è bisogno di spiegazioni razionali, non si giustifica, non si approfondisce. Le cose misteriose sono così: restano un po’ sospese e finiscono più o meno lì”. E invece, Marcello Altamura non ci sta ad accontentarsi di una verità costruita e lacunosa: lui fa il giornalista (lavora al quotidiano “Cronache di Napoli”)  e aveva appena 2 anni quando le Brigate rapirono il presidente della Democrazia Cristiana, massacrarono la sua scorta e, dopo 55 giorni di prigionia, lo uccisero facendo ritrovare il cadavere nella Renault rossa in via Caetani, nel centro di Roma, praticamente a metà strada tra via del Gesù (dove c’era la sede della Dc) e via della Botteghe Oscure (dove stava il Partito comunista).  “Io di mestiere faccio il cronista e ho scritto un libro per ricostruire quello che accade prima e durante quei terribili giorni. Mi sono documentato, ho incontrato testimoni oculari, ho letto tutti gli atti dei processi e ho messo in fila i fatti lasciando ai lettori il compito di trarre le conclusioni”.

Il libro si chiama “La borsa di Moro” e ad esso ha contribuito una delle parti offese; Giovanni Ricci che oggi fa il criminologo e che aveva quasi 12 anni nel 1978. E’ il figlio di Domenico, appuntato dei carabinieri e autista della Fiat 130 su cui abitualmente si spostava Aldo Moro. Anch’egli fu ucciso nell’agguato insieme al responsabile della sicurezza, il maresciallo dei carabinieri Oreste Leonardi, 52 anni; sull’altra auto di scorta, un’Alfetta targata Roma S93393, la guardia di Pubblica sicurezza Giulio Rivera, 24 anni, il vicebrigadiere di Ps Francesco Zizzi, 30 anni, (l’unico che sia pur gravemente ferito restò ancora in vita per qualche ora) e la guardia di Ps Raffaele Iozzino, 25 anni. Tutti barbaramente trucidati. Terribile il destino di Francesco Zizzi: era arrivato a Roma da Parma da un paio di mesi e faceva l’esordio nella scorta perché sostituiva il collega Rocco Gentiluomo, messo in ferie forzate proprio il giorno precedente l’attentato. Un tragico appuntamento col destino.

Da sinistra, Giovanni Ricci e Marcello Altamura

Da sinistra, Giovanni Ricci e Marcello Altamura

Sono diverse le cose che non vanno in quella che viene sancita come verità storica. “Una verità concordata fra Stato e Brigate Rosse – sintetizza Giovanni Ricci – e basata sul memoriale di Valerio Morucci che costituisce l’unica fonte di prova”. Ma è una verità che fa acqua da tutte le parti. Marcello Altamura comincia  dai mesi precedenti: “Sia Aldo Moro (sul piano politico) che il maresciallo Leonardi (attraverso relazioni di servizio) sollecitarono più volte l’auto blindata. Niente da fare, ma la cosa davvero strana è che tutti indistintamente a partire dall’allora ministro degli Interni Francesco Cossiga negarono di aver mai ricevuto richieste di questo genere”. Perché? “I segnali di tensioni erano stati diversi: ne parlò diffusamente la vedova Moro, la signora Eleonora, ma non si poteva ammettere di aver trascurato quegli allarmi”.

Moltissime cose non quadrano nei colpi sparati, ben 93 bossoli furono ritrovati. “Come è possibile – si chiede il giornalista – che i brigatisti avessero sparato così tanto se le loro mitragliette si erano inceppate e avevano usato solo le pistole? E poi Morucci sostiene che i colpi partirono solo dalla zona a sinistra della 130, ma furono ritrovati ben 20 bossoli sulla parte destra. Questo ha un’unica spiegazione logica: c’era altra gente che sparava e non solo i 4 brigatisti ufficialmente presenti, cioè Morucci, Gallinari, Fiore e Bonisoli. Moretti no, lui rimase sempre in auto e intervenne solo quando c’era da portare via il presidente. E non si bene che ruolo ebbero gli altri due brigatisti pure presenti, Alessio Casimirri e Alvaro Lajacono, che non hanno mai scontato un giorno di carcere”.

“Secondo le Br –  interviene Ricci – furono utilizzate solo 3 vetture, ma non è credibile perché sicuramente andava bloccato il traffico a monte e a valle del luogo dell’attentato e lungo la strada usata per la fuga, via Stresa, molto stretta e tortuosa. Come pure i brigatisti avevano fatto in modo di garantirsi la piena agibilità all’incrocio di via Fani, dove risultavano molte aree libere in una zona in cui i posti per parcheggiare erano pochissimi e sempre occupati”. “No – conclude Altamura – le cose non quadrano né sul numero dei partecipanti, né sull’auto coinvolte, né sugli appoggi, né sull’organizzazione di un’azione molto complessa. Le Br hanno minimizzato su molti passaggi e lo Stato ha preso per buona questa versione”. Dunque, il memoriale di Morucci dice bugie? “Racconta una parte di verità, ma ne nasconde molte altre”, risponde Giovanni Ricci.

Il libro di Altamura

Il libro di Altamura

Una capitolo a parte merita l’atteggiamento seguente: Dc e Pci furono immediatamente per la linea della fermezza  (“N0n si tratta con i nemici dello Stato”), solo il Psi di Craxi era per la trattativa. “C’erano molte maniere per evitare un coinvolgimento dell’Italia – spiega Ricci – Si poteva lasciare che a trattare fosse il Vaticano, dopo l’appello di Paolo VI, o le Nazioni Unite. La verità è che il destino di Aldo Moro era segnato perché non si voleva che portasse termine il suo piano politico di pieno coinvolgimento del Partito comunista”.

E la borsa? “Era voluminosa e Aldo Moro lo portava sempre personalmente per quanto pesante potesse essere. Conteneva certamente i documenti più importanti e più sensibili”, scandisce un po’ sarcastico Marcello Altamura. D’accordo, ma che fine ha fatto? “Non si sa – chiude l’autore – -. L’unica cosa certa è che non è finita nella disponibilità delle Brigate Rosse…”. Altrimenti che mistero sarebbe?

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