
di Andrea Stefano Marini Balestra
Viterbo,19.4.25
Da secoli, anche millenni, la zona dove poi sorse nel XI° secolo d.c. il centro di Viterbo, è stata ritenuta utile come centro amministrativo, mai, però, un centro per uno sviluppo culturale ed economico.
Cosi fu ai tempi degli etruschi, che nel colle dove oggi è il centro della Città di Viterbo, ebbero anche tenere il loro annuale convegno (La Lega dei dodici popoli), poi, dopo la fusione dei famosi castell (Fanum, Arbanum, Vetulonia e Longula.), sorto un capoluogo che amministrava il vicino territorio. Il papato, infatti, scelse Viterbo come sua ufficiale sede, ma anche nel successivo rientro della sede papale a Roma, Viterbo sempremantenne la caratteristica di centro politico amministrativo di chiunque abbia detenuto il potere. Fu capoluogo al Regno del Papa (Prov.Patrimonio di s.Pietro), quindi capoluogo di provincia del Regno d’Italia circa un secolo fa, Sempre più importante come una sede amministrativa, meno come imprenditoriale e culturale.
E’ ovvio che per i viterbesi questa mentalità stratificata da secoli abbia lasciato il segno. I residenti in una città sede di uffici amministrativi, hanno sempre preferito dedicarsi all’impiego,ai servizi e nel commercio di prossimità relegando solo alla agricoltura ed all’allevamento l’impresa necessaria per l’alimentazione locale.
Si è visto, di consguenza, che grandi realtà economiche oggi presenti in Città siano frutto di imprenditoria esterna, in particolare marchigiana; purtroppo, quella viterbese, sempre è rimasta ai margini. Esempi ce ne sono tanti.
La mentalità del viterbese oggi risulta “tarata” (ci si passi il termine) da provincialismo, cioè del rifiuto di ciò che possa essere qualcosa di più di un intereresse locale. A Viterbo ci si spaventa del nuovo. Giorni fa sulla stampa è emersa l’enorme differenza tra la città di Spoleto e la nostra. Un abisso.
Ho sempre saputo che Menotti, l’ideatore del “Festival dei Due Mondi”, alla fine degli anni 50 si rivolse agli amministratori comunali viterbesi per proporre il suo programma. Gli fu risposto che a Viterbo non era possibile un tale evento, per cui Menotti, andò a Spoleto e trovò porte spalancate.
Ai viterbesi restò solo la “Macchina di Santa Rosa”.
Ma che a Viterbo, di recente, vi siano state altrettante proposte di manifestazioni culturali e che poi siano state “obbligate” trasferirsi, la dice lunga sulla mentalità dei cittadini e. sulla effettiva volontà degli amministratori locali mantenerle.
Si è sempre detto che per i viterbesi, tale atteggiamento di riserbo per il “nuovo” abia radici lontane, perchèsempre creduto che sia stato inculcato dai pochi che nel territorio viterbese detenevano il potere economico, cioè, di coloro cui andava bene che la popolazione fosse solo soddisfatta da una paga fissa (magari da fame), piuttosto che farla emergere professionalmente ed economicamente.
In questa ottica si è visto nel secolo XIX° il “rifiuto” al passaggio della Ferrovia Roma-Firenze, poi della “Autostrada del Sole” , ed oggi, ancora, di un aeroporto civile ed il sollecito completamento di infrastrutture stradali e ferroviarie degne del terzo millennio.
Ai viterbesi, sembra, vada bene cosi. Infatti è stato pure detto, senza prove però, di un boicottaggio per il completamento della Cassia bis di chi non voleva perdere affari di un bar sull’attuale Cassia in ambito urbano ed altrettanto a Monte Romano (completamento trasversale E45) e, chi sotto sotto, sbuffa per un qualsiasi intervento che possa “ledere” una realtà consolidata, ma obsoleta.
E’ ovvio che in questa situazione, pretendere che Viterbo possa avere chance di divenire “Capitale della cultura europea”, è pura fantasia.
Meglio abbandonare l’idea per non far brutta figura e vedersi superati da realtà inferiori. Viterbo, del resto, anche programmi dei recenti eventi di carattere internazionale (vedasi Giubileo 2025) è sempre rimasta ai margini, Non si è stati capaci intercettare alcun turismo culturale, creatistati programmi perchè questo possa avvenire, ma ci continua a boloccare solo su locali eventi folcloristici da paese, che, di cultura hanno poco se non per il rispetto di una tradizione popolare, ma solo provinciale, che nemmeno comprende chi del luogo non sia nativo.
Non si vedono segnali di “ravvedimento” da parte di alcuno, siano essi amministratori pubblici o privati, anzi, si sta notando un decadimento anche di quel poco che si era potuto raggiungere. Non ne facciamo un elenco per carità di patria.
Ci vorranno decenni perchè Viterbo perda quel suo provincialismo, ma non sarà facile anche per i “forestieri”, che ormai formano la maggioranza degli abitanti in città, disincrostare la società viterbese da questa malattia.