Cronaca di un’emergenza annunciata, che ha messo tutti in fila per un po’ d’acqua potabile. Perché quella che esce dal rubinetto è avvelenata da arsenico e fluoruri. La stessa emergenza su cui sta indagando la Procura, visto che i fondi per evitarla erano stati stanziati dalla Regione sin dal 2007, ma nei forzieri dell’ente non se ne è trovata traccia. Bottiglie e taniche in mano, sono circa 220mila gli abitanti di 35 comuni del Viterbese costretti a rifornirsi alle fontanelle dotate di potabilizzatori oppure ad acquistare la minerale. Il 31 dicembre è scaduta la terza e ultima deroga concessa dalla Commissione europea. Da allora, per legge è potabile solo l’acqua che contiene arsenico entro i 10 microgrammi per litro e fluoruri al di sotto di 1,5 milligrammi per litro. E nella Tuscia è scoppiato il caos.
I rischi per la salute. L’arsenico è un metallo pericoloso per l’uomo, classificato dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro come cancerogeno di classe 1 (certo per l’uomo). A denunciare da anni i rischi derivanti dall’esposizione prolungata nel tempo è Antonella Litta, referente per Viterbo dell’Associazione italiana medici per l’ambiente. E’ lei ad aver reso pubblica la prima indagine epidemiologica condotta sulla popolazione dei 91 comuni laziali (60 della provincia di Viterbo, 22 della provincia di Roma e 9 della provincia di Latina) dove maggiore è stata l’esposizione al metallo. A realizzarla è stato nel 2012 il dipartimento di epidemiologia del Servizio sanitario della Regione Lazio su committenza dell’assessorato all’Ambiente della Pisana, che però si è ben guardato dal diffonderlo. La ricerca dimostra che nei comuni del viterbese con livelli di esposizione oltre i 20 microgrammi si osserva un eccesso di mortalità, pari al 10 per cento sia per le patologie tumorali (il cancro al polmone, alla cute e alla vescica negli uomini), sia per malattie cardiovascolari (ipertensione arteriosa, infarto del miocardio, ictus) e malattie come il diabete mellito.
Gli obblighi non rispettati. I sindaci, secondo quanto imposto dall’Istituto superiore di sanità, dovrebbero garantire almeno sei litri di acqua potabile al giorno per ogni residente, ma sono pochi i Comuni con le risorse e i mezzi tecnici per assicurare l’approvvigionamento. Eppure la soluzione c’era: installare i potabilizzatori entro la fine del 2012. Ma questa è la classica storia all’italiana: soldi che vanno e che vengono, commissariamenti che nulla risolvono (il Governo avevano nominato Renata Polverini commissario per l’emergenza arsenico), crono programmi non rispettati. E alla fine ci rimette sempre il cittadino: costretto ora a uscire di casa per trovare acqua potabile (“Come ai tempi della guerra”, la buttano in battute amareggiate i più anziani) e tra poco anche a mettere mano al portafogli perché i costi per gli interventi ricadranno sulle sue tasche.
I ritardi nei lavori. Il programma per dotare tutti i comuni di dearsenificatori e defluorizzatori precede due tranche di lavori. La prima, già avviata, riguarda quelli con livelli del metallo pesante superiori ai 20 microgrammi. La Regione per questi ha stanziato 25 milioni di euro e fatto ricorso a un bando regionale, vinto da un’Ati (associazione temporanea di imprese), capeggiata da una ditta di Brescia e una di Pomezia, che poi hanno sub-appaltato numerosi interventi a imprese locali. La gara prevedeva 31 impianti da consegnare entro il 31 dicembre 2012. A oggi, ne funzionano solo tre: uno al campo sportivo di San Martino al Cimino, un altro nel pozzo Riotrai a Viterbo (fornisce la zona tra Bagnaia e Vitorchiano) e il terzo in via Aldo Moro a Vetralla. Il motivo? Raggiunto il primo stadio di avanzamento dei lavori, molte ditte non sono state liquidate. La Regione aveva accumulato un ritardo nei pagamenti per 4 milioni di euro. Arrivati quelli, i cantieri sono ripartiti. Ma ormai era troppo tardi per scongiurare le ordinanze di non potabilità. I restanti 28 impianti della prima fase, saranno ultimati entro giugno (salvo quello di Concio a Nepi, uno dei due previsti a Capranica, il Noce a Vetralla e un altro in località Canale a Tobia attesi chiavi in mano entro venti giorni). Brindisi all’arsenico ancora per parecchio tempo nei i comuni tra i 10 e i 20 microgrammi, che hanno a disposizione 13 milioni di euro regionali. Per quelli che sono confluiti in Talete, il bando scadrà il 15 febbraio e occorrerà almeno un anno per ultimare i lavori. Gli altri, che gestiscono in proprio il servizio, hanno ricevuto direttamente i soldi dalla Regione e ancora devono bandire la gara.
Nuovi guai in vista. Ma i problemi non finiscono qui. Come ha dichiarato l’assessore provinciale all’Ambiente, Paolo Equitani, i dearsenificatori hanno una speranza di vita al massimo di sei anni. Poi, occorrerà attivare un’altra soluzione. Nel frattempo, solo di manutenzione costeranno circa 3,7 milioni di euro ogni dodici mesi. Costi che ricadranno sulle bollette. Inoltre, i 37 milioni per i potabilizzatori – proprio perché spariti dal bilancio regionale – sono stati recuperati dirottando i fondi previsti per depurare le acque reflue. Nella Tuscia sono 36 i comuni che sversano direttamente nei fossi: per questi la deroga europea scade nel 2015. E sarà una nuova emergenza.
I cittadini abbandonati. Intanto, tra la popolazione il caos è totale non esistendo alcun punto di riferimento per avere informazioni o qualcuno che coordini gli interventi necessari (a Castel Sant’Elia, tanto per dirne una, la Asl ha chiesto l’intervento della protezione civile, avendo l’arsenico sfondato quota 50 microgrammi). Molti non sanno a chi rivolgersi per ottenere informazioni precise su quale uso è possibile fare dell’acqua di casa in base alla zona in cui vivono, all’età e alle condizioni fisiche. Per questo, Talete ha proposto alla Asl, all’Ato (ambito territoriale ottimale), alla prefettura e ai sindaci di collaborare per attivare un numero verde da contattare in caso di bisogno. Infine, tutti i titolari di attività che somministrano bevande e cibi sono stati costretti a dotarsi di impianti a proprie spese, pena multe salate. Fondamentale, per gli esercenti, l’aiuto fornito dalle associazioni di categoria.
I Comuni avvelenati. Ecco la lista dei paesi della provincia di Viterbo nelle cui acque l’arsenico supera il limite di 10 microgrammi per litro: Bagnoregio, Blera, Bolsena, Calcata, Canino, Capodimonte, Capranica, Caprarola, Carbognano, Castel Sant’Elia, Castiglione in Teverina, Celleno, Civita Castellana, Civitella d’Agliano, Corchiano, Fabrica di Roma, Farnese, Gallese, Gradoli, Grotte di Castro, Lubriano, Montalto di Castro, Monte Romano, Montefiascone, Ronciglione, San Lorenzo Nuovo, Soriano nel Cimino, Sutri, Tarquinia, Tuscania, Vallerano, Vetralla, Vignanello, Villa San Giovanni in Tuscia, Viterbo.