28042024Headline:

“Per crescere dovete internazionalizzarvi”

Il viceministro Carlo Calenda

Il viceministro Carlo Calenda

“A fine mese ci sono le elezioni europee. Bene, votate chi vi pare”. Quando il viceministro allo Sviluppo economico Carlo Calenda lo dice alla sala piena della fondazione Carivit verrebbe da alzarsi in piedi e tributargli i novantadue minuti di applausi di fantozziana memoria. Perché in questi tempi di campagna elettorale, tra appuntamenti inconcludenti e marchette spaziali, finalmente ecco uno che parla chiaro. Di cose concrete, con spiegazioni semplici di affari molto complessi: non per niente Calenda è uno dei pochi riconfermati al Governo nel passaggio da Letta e Renzi; non per niente nella sua vita precedente – e forse anche in quella successiva – faceva il manager d’imprese, anche alla Ferrari.

Lo hanno invitato qui a Viterbo quelli dell’Osservatorio sulla legalità, e hanno fatto bene. A moderare l’incontro, l’assessore allo Sviluppo economico Giacomo Barelli, insieme a lui c’era anche il sindaco Michelini (“Questa città è terreno fertile per lo sviluppo, lo dimostrano i dati del Censis e il fatto che abbia mantenuto la sua identità e le sue peculiarità”) e il presidente del consiglio comunale Filippo Rossi (“Ci vuole una rivoluzione culturale, bisogna finalmente parlare del pubblico come se fosse privato, con gli stessi criteri”). In sala, oltre ad un paio d’assessori e al consigliere regionale Enrico Valentini, mezzo gotha economico della Tuscia.
Calenda stupisce già in partenza, dopo le solite premesse sulla mancanza di fondi per investire e la mancanza di idee su cosa fare della spesa pubblica: “Lo so che siete abituati a politici nazionali che vi vengono a parlare delle cose locali. E’ un atteggiamento che io considero irrispettoso. Vi parlerò piuttosto di argomenti apparentemente distanti dalla vostra realtà, ma che non lo sono affatto”.
E via con la globalizzazione, vista però come risorsa e non come causa di tutti i mali. “E’ nata con lo sviluppo della Cina, ma dietro ad una precisa volontà dell’occidente, che ormai era diventata economia di sostituzione e non più di consumo e dunque i tassi di crescita erano diventati bassissimi. Avevamo bisogno di due miliardi di nuovi consumatori, perciò abbiamo tolto i dazi di esportazione sui prodotti cinesi. La prima fase è stata dura – ricorda Calenda – perché abbiamo perso produzioni e posti di lavoro, Ma entro il 2030 avremo un mercato di due miliardi di turisti, e l’internazionalizzazione sarà la chiave della nostra economia futura a breve. Dobbiamo essere in grado di intercettare questa massa di persone che spende, e che ha fame dei nostri prodotti. L’Italia si è già divisa in due: chi aggancia questo mercato produce e viaggia su tassi di crescita altissimi, superiori alla Germania e alla Francia. Chi ancora non si è svegliato soffre. Ma c’è ancora a disposizione un mare al quale attingere, anche per le piccole e medie imprese: tante persone nel mondo vogliono abbigliamento, cibo e macchinari made in Italy. E poi l’Europa sta per chiudere 25 nuovi accordi commerciali di libero scambio: i nostri prodotti entreranno in profondità, e senza tassi, in tanti mercati mondiali. Peccato che nessuno lo sa…”

La sala di palazzo Brugiotti

La sala di palazzo Brugiotti

E qui, per Calenda, c’è da combattere una battaglia culturale. “Bisogna sfatare quei luoghi comuni che ci vorrebbero a breve tutti camerieri dei cinesi, piuttosto pensiamo a come cogliere questa opportunità di sviluppo. Intanto, basta mettere alla berlina gli imprenditori che fanno profitti, cose che succedono solo qui in Italia, E’ come se in America attaccassero Bill Gates perché fa soldi e crea posti di lavoro. Bisogna ritrovare il valore sociale dell’impresa, e basta con le politiche degli incentivi ad assumere, che so, i giovani: da manager non ho mai pensato di assumere una persona soltanto perché avevo un incentivo. Assumevo quelli bravi, che potevano crescere e far crescere l’azienda”.
Ma l’arretratezza culturale – nel vero senso della parola – è dura da sconfiggere. “In Italia, su 210 mila aziende, 70mila si dicono non interessate a internazionalizzarsi. Le abbiamo censite, le andremo a prendere una ad una, nelle province, anche qui da voi nella Tuscia. Parleremo con loro, e se accetteranno di cambiare avranno a disposizione un esperto che le seguirà passo passo nel processo di internalizzazione. Ci sono due miliardi di potenziali clienti, è ora di capirlo. E questo spetta anche a noi politici”.
Secondo Calenda, che alla fine si becca anche una prolungata dose (meritata) di applausi, conta anche poco mettere sul piatto le ricchezze di una terra (“Che sia la Tuscia o che sia Valdobbiadene”) se non si riesce a declinarla in chiave mondiale. “Dobbiamo partire da questa bellissima sala viterbese – ha concluso – per pensare all’enorme potenziale di due miliardi di persone che consumano e vogliono prodotti italiani, Sono quindici anni di crescita vera, e non finta, non quella dei ristoranti pieni”. Lui lo ha spiegato benissimo. I nostri imprenditori lo avranno capito? E soprattutto: vorranno crederci?

 

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1 Commento

  1. pascal91 ha detto:

    Sì sì “internazionalizziamo”… intanto il comune di viterbo non ha manco un sito di promozione turistica degno di tale nome, né in italiano, né in inglese!

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