29042024Headline:

Canino, esempio di energia pulita

biogas canino (2)Applicando il teorema di Fabrizio De Andre’, che recita testualmente “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”, in quel di Canino hanno avuto una pensata geniale. Un’applicazione pratica del principio appena enunciato, che porta il nome di impianto a biogas.

Definizione tecnica a monte: in generale il biogas è un particolare tipo di energia, ricavata dalla fermentazione anaerobica di un substrato organico. Caratterizzato da residui d’allevamento, prodotti di tipo alimentare, agricoli, e provenienti da acque reflue di depuratori. Nello specifico però l’azienda viterbese è alimentata da matrice squisitamente organica, di tipo esclusivamente agricolo. Costituito da trinciato di mais, orzo, triticale, loietto, sorgo, sottoprodotti vari provenienti appunto dall’agricoltura.

E per quanti non si fossero ancora suicidati, dopo aver letto l’incipit, ecco in cosa consiste l’impianto. Se si pensa a Canino viene in mente automaticamente pure l’olio. Quello delle bruschette. Il liquido finito, pronto da servire in tavola. Dietro però ci sta un mondo. Fatto di duro lavoro e di grandi scarti. Dalla sansa alle potature (per semplificare il tutto). E una volta terminata la raccolta, sorpassata la fase di frangitura, accumulato il sovrappiù, dove lo si mette? Sotto il letto? In garage vicino alla cyclette? No.

“Lo si converte – apre le danze il direttore Massimiliano Bocci – si porta da noi, anzi lo preleviamo direttamente, e attraverso un processo lungo e soprattutto ecologico lo si reinserisce nel circuito”. Che detto così pare quasi facile. Ma come? “Attraverso le vasche – prosegue lo stesso – laddove avviene la magia. Che elabora gli scarti e li rende fertilizzante puro. Senza chimici all’interno. Pronto per essere riemesso sui terreni. Che ne giovano non poco”. E non solo. Oltre al concime (se si fa un salto in sede si può comprendere l’iter che porta dal cavolfiore puzzolente alla sostanza inodore e ricca di minerali) lo stabilimento produce anche gas. Metano bio. Tralasciando i numeri, si può serenamente affermare che la quantità emessa basterebbe per alimentare tutto il borgo. Ed ecco forse perché laddove le cose girano a dovere (in quella terra dei würstel chiamata anche Germania) risiedono circa ottomila impianti. Nel bello (ma pigro) Stivale invece se ne contano appena ottocento.

“È un discorso culturale – chiude Bocci – si vedono le nostre autopompe in giro e viene subito un po’ di paura. Ci si interroga se trasportiamo materiale pericoloso. Quando invece per comprendere a fondo quanto sia buono e pulito basta osservare le strisce di terra dove è stato lasciato. La natura lo gradisce, non lo rigetta. E poi studiamo continuamente gli effetti, anche insieme all’universita’. Insomma stiamo parlando di avanguardia. Nel pieno rispetto dell’ambiente”.

Non usciranno fiori. Ma almeno servono a qualcosa.

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