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Dioniso, esperti e confronto all’Unitus

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Un nuovo appuntamento con il Laboratorio di Dioniso, che torna a Tarquinia per il secondo meeting dell’Auloi/Tibiae Revival Project, un percorso scientifico e artistico che ha condotto allo studio e quindi alla ricostruzione di uno strumento musicale aerofono, conosciuto dai greci come aulos e dai romani come tibia: il cosiddetto “doppio flauto”, con tutta probabilità progenitore dell’oboe, strumento molto diffuso e ampiamente utilizzato sulle sponde del Mediterraneo e oltre.

Un vero e proprio viaggio alla scoperta delle tradizioni legate all’uso e al suono degli strumenti, reso possibile dall’Emap (European Music Archaeology Project) un progetto che si propone di promuovere il crescente interesse per gli studi musicali in ambito archeologico, riportando in vita gli strumenti musicali in uso nelle antiche civiltà dell’Europa, permettendo al pubblico di avvicinarsi alle sonorità e alle tradizioni musicali di uno spazio che si estende dal Paleolitico Superiore (circa 40 mila anni prima di Cristo) e abbraccia le civiltà classiche del Mediterraneo, il Centro e il Nord Europa, fino al Medioevo.

Dopo le prove aperte al pubblico presso i saloni del Comune di Tarquinia, che il 3 giugno dell’anno scorso ha firmato l’accordo economico con l’Unione Europea, le note del passato rivivono in un concerto finale che si terrà oggi pomeriggio alle ore 19 all’università della Tuscia, presso l’auditorium del complesso di S. Maria in Gradi.

La performance inaugura il quinto General Meeting dell’Emap, che riunirà proprio a Viterbo, da oggi fino a venerdì, i rappresentanti delle istituzioni europee coinvolte nelle attività di ricerca e divulgazione, ovvero Italia, Germania, Spagna, Regno Unito, Svezia, Austria e Cipro.

L’Emap riunisce idealmente musica ed archeologia, scienza ed arte, grazie al lavoro di conservatori ed artigiani, università, centri di ricerca e di divulgazione, enti locali (tra cui la Regione Lazio) e coinvolge in prima persona il Dipartimento di Scienze dei Beni Culturali dell’Università della Tuscia, grazie a un team di docenti e professionisti esperti nel settore.

Tra i docenti coinvolti nel progetto, il professor Stefano De Angeli, project manager per la Tuscia, professore associato di archeologia classica presso il Dipartimento di Scienze dei Beni Culturali (Disbec). Inoltre la prof.ssa Marina Micozzi e la dott. Chiara Bernardini, etruscologa, il professor Gian Maria Di Nocera, esperto di preistoria, il professor Carlo Pavolini, archeologo classico ed il dott. Roberto Buongarzone, egittologo. “Lo staff, in particolare – spiega il professor De Angeli- si occupa dell’individuazione e ricostruzione di strumenti musicali che provengono dai siti archeologici del periodo etrusco e romano , studiandone le caratteristiche e i contesti d’uso”. Al team si aggiunge il prezioso contributo del Laboratorio di Diagnostica per la Conservazione e il Restauro “Michele Cordaro”, diretto dal professor Ulderico Santamaria, tramite le ricerche condotte in particolare dalla prof.ssa Claudia Pelosi, docente di chimica analitica e dalla dott.ssa Giorgia Agresti, “le quali si occupano di condurre le analisi degli strumenti antichi in bronzo recuperati in contesti etruschi, al fine di ricostruirne la lega originale”, conclude De Angeli.

Il tutto finalizzato a una mostra itinerante e interattiva, Archaeomusica: Exploring the Sounds and Music of Ancient Europe, che sarà allestita per la prima volta a Malmo (Svezia) nel maggio 2016 e in seguito presso le varie sedi dei partners coinvolti, tra cui, in conclusione del progetto, Roma.

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