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Barberani: tutti i segreti dell’Orvieto

botti

La linea dell’asfalto corre come una scriminatura tra le colline di vigneti, il terreno sembra ritrarsi e  inarcarsi come un’immensa onda verde al passaggio della macchina che segue quella scia grigia. Qua e là, i tralci più lunghi sembrano spruzzi d’acqua. Siamo vicini al lago di Corbara e alla sua diga, la strada costeggia il Tevere e porta verso Todi, è la zona dell’Orvieto classico. Le indicazioni per la cantina Barberani si lasciano trovare facilmente e in breve arriviamo. Nonostante sia abbastanza presto, già vediamo alcuni clienti uscire con una scatola da sei. Come quando sei in libreria e cerchi di sbirciare i titoli che  portano alla cassa i tuoi vicini di fila, così qui viene voglia di sapere quale tra le quattordici etichette a disposizione sono state scelte.

Avranno seguito i consigli delle guide e puntato sui Tre bicchieri del dolce e sensuale Calcaia o avranno scelto il Luigi e Giovanna, oppure  entrambi pensando magari a una romantica cena per ritrovare nel calice il sapore di un fine settimana a Orvieto? A fermare speculazioni e pensieri arriva Niccolò Barberani, enologo, terza generazione della cantina Barberani insieme al fratello Bernardo. In origine infatti, precisamente nel 1961 fu il nonno, Vittorio Barberani, a cominciare l’allevamento della vite per produrre un buon vino da servire nei bar che gestiva a Orvieto.

Il primo nucleo dell’azienda fu Vallesanta a cui si è aggiunto poi  il vigneto  Monticelli fino a raggiungere i 100 ettari dell’azienda odierna, 55 dei quali vitati.

In breve la qualità, la piacevolezza e la richiesta portarono Vittorio a imbottigliare. Nel frattempo il figlio Luigi, padre di Bernardo e Niccolò, aveva intrapreso la strada della giurisprudenza, ma decise di lasciare toga e tribunali per dedicarsi all’azienda. Il legame profondo di questa famiglia con il territorio orvietano e con i suoi vini si impasta nelle parole di Niccolò con l’importanza dell’unione  e degli esempi familiari, con il valore di un’esperienza dentro cui crescere. Un vincolo forte, ma non soffocante, un percorso in parte tracciato e in parte da costruire insieme. Niccolò, serio, determinato e pragmatico, quando parla della sua famiglia non riesce a dissimulare un’espressione delicata e orgogliosa di appartenenza. “C’è una bella sinergia e una grande fiducia  tra noi. Bernardo si occupa dell’amministrazione e della commercializzazione, io della cantina, nostro padre continua a regalarci la sua esperienza e l’occhio attento di chi conosce il mestiere”.

carlo-e-niccolò“Prima abbiamo fatto un giro nei vigneti qui intorno. Ho visto il nuovo impianto, la disposizione dei filari mi ha incuriosito, a cosa è dovuta la scelta?” chiede Carlo. Si riferisce al nuovo vigneto dietro la cantina.

“Ho fatto un lavoro particolare, ho assecondato la collina, il tipo di terreno calcareo-argilloso mi richiedeva poi una canalizzazione delle acque che ha ulteriormente influenzato la gestione dei filari. Qui ho una bella varietà di terreni e un microclima unico con una buona escursione termica. Il lago trattiene e preserva dalle gelate d’inverno, durante l’estate contribuisce a creare movimenti d’aria e a rinfrescare. Proprio grazie a questo microclima riusciamo ad avere il vino giusto per fare il Calcaia. L’elevata umidità notturna che si prolunga fino al mattino viene poi asciugata da vento e sole, questo permette di evitare la muffa grigia e di avere invece quella nobile. Come ci insegnano i francesi, nei muffati l’aroma è dato dalla pianta che sviluppa delle sostanze di difesa, per questo le uve che si trasformano in Calcaia vengono raccolte a volte anche a dicembre. Ogni anno scelgo le zone migliori, a seconda dell’annata, se è umida seleziono i vigneti alti altrimenti considero quelli di fondovalle.   Per questo possono cambiare le percentuali delle uve, ma sempre di Trebbiano e Grechetto si tratta . Il Calcaia è davvero una magia, un’operazione alchemica delicata di cui bisogna conoscere perfettamente ogni passaggio”.

L’attenzione ai processi naturali si lega nell’azienda Barberani a un consapevole uso di tecniche colturali e di vinificazione. “L’ecosistema bilanciato, grazie anche al fatto di condurre l’intera azienda in regime biologico mi garantisce ottime uve sane. Nel Vigneto di Villa Monticelli contornato da boschi l’unico problema sono i cinghiali, non gli insetti. L’equilibrio a livello di biodiveristà è fondamentale, anche se i risultati non sono immediati, sulla lunga distanza se ne apprezzano i benefici. Le scelte vendemmiali vengono fatte ovviamente in base alle stagioni ma rimane costante il fatto di fare tutte le operazioni a mano. È una soluzione che fa la differenza. L’uva arriva intatta grazie anche al sistema dei bins (contenitori utilizzati per il trasporto della frutta) e alla vicinanza tra vigneti e cantina. L’uva non subisce il caldo e arriva freschissima alle lavorazioni”.

vini“Hai puntato molto sui vitigni autoctoni e stai lavorando sull’Orvieto. Guardando la situazione dall’interno com’è lo stato di salute di questa DOC penalizzata negli anni passati dai grandi quantitativi non sempre di ottima qualità immessi sul mercato, ma che a mio parere in anni recenti grazie al lavoro di un gruppo di produttori sta ritrovando la giusta vitalità e il corretto posizionamento?”

Carlo prende in mano la bottiglia di Castagnolo sul tavolo e dice sorridendo: “Per esempio il tuo Castagnolo è sempre un piacere berlo, è un vino di cui si ordina volentieri una seconda bottiglia con un rapporto ottimo qualità/prezzo”

“Credo molto nell’Orvieto e sono d’accordo sul fatto che ci si sta muovendo sempre più verso  la qualità. È stato un periodo complicato, ci devi mettere anche le mode che portavano altrove, ma ora c’è finalmente una riscoperta. Il Castagnolo, di cui immettiamo sul mercato circa 100.000 bottiglie ha un costo in enoteca di 11 euro. Poi c’è il Luigi e Giovanna, nato nel 2011 per celebrare i 50 anni dell’azienda e dedicato ai nostri genitori. È stato pensato come vino moderno, ma al tempo stesso molto tradizionale. Ho ripreso l’idea dell’Orvieto com’era, un vino suadente morbido e fatto in botti grandi. E così ho cercato le botti da 28 ettolitri. La lunga  tradizione e la vocazione del territorio ci spingono verso una valorizzazione di questa zona e dei suoi vini. Noi cerchiamo di interpretare con mezzi e tecnologie innovative questa lunga storia”.

“Ma c’è anche un altro progetto interessante che ha portato a un nuovo vino” interviene Carlo.

“Ti riferisci a Vinoso, il vino prodotto senza solfiti aggiunti. Un progetto molto intrigante perché mi ha permesso di lavorare sulle tecniche di vinificazione. Grazie alla collaborazione con il dipartimento Dibaf dell’Università della Tuscia e la Pc Engeneering – Purovino abbiamo potuto lavorare sull’ossigeno attivato, conosciuto oggi  come il composto più efficace e sicuro nei trattamenti di disinfezione e sanitizzazione di cibo e bevande. Con l’ossigeno attivato procediamo a una disinfezione delle uve e di tutti i macchinari di cantina utilizzati. Fondamentale è la gestione della fermentazione, della decantazione e dell’affinamento totalmente in riduzione. Sfruttando la considerevole e inusuale tannicità del Grechetto si assicura ai mosti un’elevata presenza di sostanze antiossidanti, già nel periodo prefermentativo”.

Vale la pena fare una visita all’Enoteca Barberani di fronte al  Duomo di Orvieto dove potrete degustare e comprare i vini Barberani magari dopo aver goduto ancora una volta delle splendide plasticità degli affreschi del Signorelli.

(dal blog di Carlo Zucchetti)

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