28042024Headline:

Jobs act, tutto sui licenziamenti

Si profila una pericolosa sudditanza dei lavoratori nei confronti delle aziende

sicurezza-sul-lavoroUn incrocio pericoloso tra licenziamento facile e generosi sconti alle imprese, sgravi alle aziende superiori agli indennizzi per i lavoratori, meno diritti e disparità contrattuali e sul posto di lavoro. Questo è il Job Act. In sintesi, un insieme di norme tutte concentrate sulle imprese con interventi quasi a pioggia, senza alcun vantaggio per le famiglie dei lavoratori. Di fatto, una pericolosa ‘sudditanza’ dei cittadini nei confronti dei datori di lavoro. Cosa proponiamo? La Uil propone che un’azienda che licenziasse illegittimamente dovrebbe almeno dare a titolo di risarcimento anche l’ammontare degli sgravi di cui ha usufruito.

Una situazione paradossale e intollerabile. Un vero e proprio ritorno al passato. In base alle simulazioni fatte dalla Uil e pubblicate nello studio, per quanto riguarda gli indennizzi in caso di licenziamento si evince che le imprese potrebbero avere dei benefici ad assumere per poi licenziare, soprattutto se il bonus assunzione diventa strutturale. Questi benefici potrebbero variare dai 763 euro ai 5 mila euro se si licenzia entro il primo anno (a seconda dei mesi di indennizzo); mentre se si licenzia alla fine dei 3 anni i benefici variano dai 12 ai 15 mila euro. Non solo, ma chi è stato assunto dopo il Jobs Act avrà un trattamento diverso, e peggiore, rispetto a chi è stato assunto prima. Chi ha due contratti part-time, uno firmato prima del Jobs Act e uno dopo, vivrà anche in tal caso due situazioni molto diverse l’una dall’altra, anche se la prestazione è la stessa.
La Uil – si spiega nello studio – ha calcolato i benefici per l’azienda facendo il saldo tra somme a credito e a debito in caso di assunzione e licenziamento con il nuovo contratto agevolato dalla decontribuzione. Si è considerato il costo dell’indennizzo pari, a seconda delle simulazioni, ad 1 ½ mensilità o a 2 mensilità per anno lavorato, calcolando anche l’ipotesi, che sta emergendo nel dibattito, di fissare un’indennità minima (c.d. scalino) di 3 o 4 mensilità se il licenziamento avviene entro il primo anno.

In particolare, se l’indennizzo fosse fissato in 1 ½ mensilità e se il licenziamento avvenisse entro il primo anno, per un reddito di 22 mila euro il saldo per l’azienda sarebbe positivo di 5 mila euro, che passerebbero a 15 mila euro se il licenziamento avvenisse dopo 3 anni. Prevedendo, invece, l’introduzione di un’indennità minima (scalino) di 3 mensilità, il saldo, per un licenziamento dopo il primo anno per un reddito di 22 mila euro, scenderebbe a 2.450 euro. Con questo stesso meccanismo, il licenziamento diventerebbe “sconveniente” per l’azienda nell’ipotesi di redditi superiori ai 40 mila euro. Se si prendesse in considerazione un indennizzo di 2 mensilità/anno, il beneficio per le aziende ad assumere e licenziare dopo un anno una lavoratrice o lavoratore con uno stipendio di 22 mila euro, sarebbe di 4 mila euro, che salirebbero a 12 mila euro in caso di licenziamento dopo 3 anni. Se la soglia minima dell’indennizzo fosse di 4 mensilità, il beneficio per le aziende scenderebbe a 763 euro. La convenienza scomparirebbe solo in presenza di redditi superiori ai 30 mila euro.

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