Più antico della Coppa dei Campioni o della Libertadores, anticipatore di certe logiche di scouting che oggi si fanno seduti davanti al computer – collegati su Youtube a vedere l’ultima partita del campionato bengalese – e che invece una volta si facevano sui campi. Macinare chilometri, consumare le suole delle scarpe, e i taccuini per gli appunti, e le tasche sempre piene di gettoni per la telefonata della svolta.
Calcio giovanile e torneo di Viareggio sono due cose che vanno a braccetto da 68 edizioni ormai. E poco importa se quel piccolo ”torneo dei bar’’ (come lo definiva ieri Alessandro Bocci su Il Corriere della Sera) sia diventato oggi la manifestazione più importante al mondo, fuori dagli eventi direttamente organizzati dalla Fifa, per il football verde; poco conta che abbia cambiato pure nome, da Coppa Carnevale a Viareggio Cup. Conta il fascino, il brivido per i ragazzi brasiliani o australiani, di Varese o di Trapani, nello giocare sotto gli occhi dei maggiori osservatori, gli scout, del Pianeta Palla. E per lo spettatore c’è sempre quel gusto perverso di provare a scoprire chi, tra quelli in campo, diventerà il nuovo Cavani o il nuovo Baggio, il nuovo Batistuta o il nuovo Totti: tutti passati da qui, in epoche diverse.