28042024Headline:

“Sempre vivo il ricordo del giudice Falcone”

Ventiquattro anni fa la strage di Capaci in cui morirono anche la moglie e la scorta

Giovanni Falcone durante il maxiprocesso

Giovanni Falcone durante il maxiprocesso

Oggi ricorre il 24° anniversario della strage di Capaci e la Prefettura di Viterbo vuole rendere omaggio al giudice Giovanni Falcone, pilastro sostanziale nella difesa della legalità e nel contrasto alla mafia. È una giornata commemorativa dall’alto valore istituzionale ed educativo “in memoria di un grande servitore dello Stato che ha sacrificato la sua esistenza in nome di una Nazione in cui ha creduto, di una giustizia per la cui effettiva realizzazione si è profondamente e totalmente impegnato, per un concetto di libertà effettivo e sostanziale che ha perseguito quale cultura del suo operare”.

Insieme all’altissima figura di Paolo Borsellino, insigne collega ed amico, Giovanni Falcone è oggi l’emblema non solo della lotta alla mafia in nome della quale ambedue hanno immolato – con totale consapevolezza – la loro esistenza e quella dei loro cari fino all’ estremo sacrificio, ma soprattutto, Falcone e Borsellino, costituiscono l’espressione massima di quell’operare – con disciplina ed onore – che la nostra Costituzione richiede a tutti coloro cui sono affidate pubbliche funzioni, servitori dello Stato, da intendere in tutte le sue articolazioni. Per chi ha vissuto in diretta le stragi di Capaci del 23 maggio 1992 e di Via D’Amelio, il 19 luglio successivo, quegli accadimenti hanno rappresentato un irrinunciabile momento di svolta, una presa di coscienza forte, tangibile verso un percorso che, da lì in poi, doveva essere necessariamente intrapreso. A distanza di due mesi l’uno dall’altro, la mafia era riuscita a mettere a segno i colpi più efferati e sconcertanti provocando uno squarcio delle coscienze soprattutto negli operatori della lotta alla criminalità organizzata ed un profondo senso di sconforto, una sconfitta collettiva mista al terrore di non essere più in grado di difenderci dal male.

Non è stato così. Proprio la strategia del terrore che nelle intenzioni dei criminali doveva rappresentare la vittoria sullo Stato, determinò una decisa ed immediata risposta istituzionale. Un senso di forte responsabilità pervase tutto l’apparato istituzionale cui il contrasto alla mafia è demandato e l’esempio del dovere civile dato dai giudici Falcone e Borsellino ha continuato e continua ad ispirare tutta l’azione della legalità, non solo contro la mafia ma nel quotidiano operare dei servitori dello Stato che quell’esempio hanno elevato a loro baluardo. “Gli uomini passano ma le idee restano e continuano a camminare sulle gambe di altri uomini”. Questo diceva Falcone e questo si è verificato.

Il prefetto Rita Piermatti

Il prefetto Rita Piermatti

Le manifestazioni, la formazione scolastica, le attività delle associazioni, tutto il pensiero della società civile, nel contrasto alla criminalità, si sono formate ed evolute, da quel momento in poi, su quell’impulso: la lotta alla mafia ha camminato sulle gambe di tanti altri uomini che quotidianamente operano per sconfiggere tutte le mafie, qualsiasi forma esse abbiano assunto, sempre caratterizzata, tuttavia, dal tratto della sopraffazione e della ambiguità volta alla corruzione. Ed allora la partita va giocata sugli opposti, sui comportamenti ispirati al rispetto, al confronto e alla trasparenza. A 24 anni dalla loro morte, i nomi di Falcone e Borsellino continuano a conquistare gli spazi pubblici più rappresentativi in tutte le città. Quel forte attaccamento ai valori della legalità e al senso dello Stato legati indissolubilmente alle loro figure devono essere divulgati anche a chi nel ’92 non c’era o non ha un’esperienza diretta di quegli anni. Doveroso e fondamentale fare in modo che le giovani generazioni conoscano l’opera, il rigore, il coraggio di questi due magistrati, cosa hanno rappresentato e rappresentano tutt’ora per l’intera Nazione: un immenso patrimonio morale da acquisire per tentare di rendere migliore il nostro Paese.

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