29042024Headline:

Il Lago di Bolsena finisce a Bruxelles

Ma la commissione Peti non si presenta

Lago di Bolsena inquinato, il caso finisce all’Unione Europea ma… la commissione non si presenta. E’ successo lunedì al parlamento dell’Unione di Bruxelles. Alle 16,30 era fissata l’audizione della petizione n. 2191/2013 (clicca QUI per leggere il testo integrale riportato da Radio Giornale), lanciata da Piero Bruni, presidente dell’associazione Lago di Bolsena, che da anni porta avanti la battaglia per la difesa dello specchio lacustre dall’inquinamento. Nonostante sia prossimo ai novant’anni, l’ambientalista non ha esitato a farsi 1400 km di viaggio per chiedere l’aiuto delle massime istituzioni del continente ma, come detto, nessun rappresentante della commissione Peti si è presentato. Imbarazzo in aula della presidentessa Cecilia Wilkstrom, che si è scusata con Bruni per il viaggio a vuoto.

“Due anni fa ho esposto a questa commissione lo stato ecologico del lago di Bolsena, che era preoccupante. Da allora, niente è stato fatto per migliorarlo” spiega l’uomo ai deputati europei presenti (pochi, a dire il vero). “È in atto un grave processo di eutrofizzazione a causa dal fosforo: dal 2005 ad oggi la sua concentrazione è raddoppiata. Era 8,1 mg/litro, ora è 16,2 mg/l. Il fosforo è una sostanza nutriente per i vegetali, svolge la stessa funzione dei fertilizzanti, fa aumentare la biomassa vegetale e con essa quella animale che se ne ciba. Alla fine della loro vita, le spoglie dei vegetali e degli animali cadono sul fondo del lago dove si ossidano consumando ossigeno.

Se la loro quantità è eccessiva, però, l’ossigeno si esaurisce e le spoglie entrano in putrefazione: questo è un fatto negativo per un lago ed è quello che sta accadendo a Bolsena. I mali iniziano dal fondale e poiché non si vedono, nessuno se ne interessa. Quando appaiono in superficie è già troppo tardi per intervenire: in assenza di ossigeno, il fondale del lago rilascia il fosforo che si è depositato negli anni precedenti e la situazione peggiora ancora più rapidamente”.

“Le scelte sono tre – prosegue Bruni – : non si fa niente e il fosforo continuerà ad aumentare rapidamente; si fanno misure conservative e la situazione rimarrà quella attuale degradante; oppure, la via corretta da seguire è quella di ridurre l’apporto del fosforo. Secondo la normativa Natura 2000, i laghi che in passato erano in stato qualitativo sufficiente dovevano migliore a buono entro il 2015, ma qui è successo il contrario: il lago di Bolsena da buono è passato a sufficiente.

La commissione europea aveva avviato una procedura di infrazione ambientale contro la Regione Lazio per non aver adottato le misure per conservare e ripristinare lo stato del lago. Al fine di chiudere la procedura di infrazione, la Regione aveva deliberato 3 misure:

1) Mantenere il livello del lago entro i limiti programmati;

2) Migliorare le ancore delle imbarcazioni turistiche;

3) Migliorare la pesca alla carpa.

Con questo genere di misure lo stato del lago non può che peggiore dato che non viene ridotto l’arrivo del fosforo”.

“A questo si aggiunge anche l’inquinamento da arsenico” e nel mirino di Bruni finisce l’impianto geotermico di Castel Giorgio, in Umbria.

“Si distinguono 3 strati geologici – continua, mostrando delle diapositive – : in superficie c’è l’acquifero da cui viene estratta l’acqua per l’uso potabile, al fondo la roccia-serbatoio che contiene il fluido geotermico, cancerogeno, caldo 150 gradi e tra i due strati è interposta una roccia, detta di ‘copertura’. Il fluido geotermico è prelevato da sotto il bacino idrologico del Tevere: dopo aver ceduto calore alla centrale in superficie viene reiniettato a 60 gradi sotto il bacino del lago di Bolsena.

Il progetto, ipotizza, che i fluidi raffreddati ritornino, per via sotterranea, dalla zona di reiniezione a quella di produzione e che non possano risalire verso l’acquifero superficiale a causa della roccia di copertura… Queste ipotesi sono smentite da un’autorevole relazione dell’università di Roma che afferma tutto il contrario: le faglie che si sono formate durante l’attività vulcanica agiscono da barriera impermeabile ai movimenti orizzontali, creando dei compartimenti stagni, ed è molto improbabile che i fluidi, reiniettati nel serbatoio, tornino attraverso vie sotterrane nella zona di prelievo. C’è un travaso permanente da un compartimento all’altro e questo potrebbe favorire l’innesco dei terremoti. Si tratta di volumi enormi: 1000 tonnellate all’ora per 24 ore per 365 giorni per 25 anni. Una quantità colossale.

Per quanto riguarda i flussi in senso verticale, queste faglie possono essere un canale di risalita per i fluidi cancerogeni, tra i quali l’arsenico, nella falda potabile del lago”.

In conclusione, Bruni suggerisce i provvedimenti da adottare per far fronte a questa emergenza.

“Si sa che il fosforo arriva delle fognature e dell’agricoltura – analizza – e bisogna ridurne le quantità. Le prime due misure riguardano questo. La terza fa riferimento a un Piano di Gestione che venne finanziato dalla Comunità Europea ed elaborato dall’Università della Tuscia da esperti di varie discipline. Si tratta di un grosso documento: sono 400/500 pagine. Venne approvato dalla Provincia di Viterbo nel 2009 ma non dalla Regione Lazio. Se l’avesse fatto, il lago non sarebbe oggi in queste condizioni. Poteva farlo, in seguito, nel 2016 per chiudere la procedura di infrazione ma ha preferito deliberare le misure dette all’inizio, forse perché non hanno un costo… “.

“L’ultima misura riguarda il rischio di inquinamento d’arsenico che può essere causato dalla geotermia: è un’attività che va fermata – conclude – perché di arsenico, nell’acqua, ne abbiamo già troppo”.

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