Tu chiamala, se vuoi, opposizione costruttiva. Quella di un Giulio Marini che, dismessi i panni da sindaco, non ha comunque perso l’identità del buon amministratore. E dopo aver letto le esternazioni di Filippo Rossi sull’auspicata rivoluzione per le festività di Santa Rosa, ribatte: “Quello che ha detto è teoricamente condivisibile, ma inattuabile, perché Rossi dovrebbe sapere che la realtà è profondamente diversa. E poi – aggiunge – diciamo anche che la campagna elettorale ormai è finita”.
Un Marini polemico? Neanche un po’. Ma coi piedi ben piantati a terra. “Quello che dice Rossi – dice ancora – è inattuabile perché il Comune non ha purtroppo la possibilità di programmare in quanto non ha la certezza delle proprie risorse. E allora, tutto diventa marchettificio. Pure gli spettacoli di Ferento e pure Caffeina, se vogliamo”.
L’ex sindaco divide il problema Santa Rosa in due aspetti: uno prettamente tecnico e un altro più culturale. “Partiamo dal primo dice – e scopriamo subito che diventa impossibile programmare cifre da spendere quando non si può fare il bilancio in tempi certi, coi continui tagli imposti dallo Stato. Le feste di Santa Rosa si sono sempre fatte con gli avanzi di amministrazione, che vengono certificati a giugno. E allora, a quel punto, ti cominci a muovere con le realtà locali. Alle quali dici: quando mi arrivano i soldi ti do il contributo. Ma non lo puoi fare firmando contratti a febbraio o a marzo con realtà di livello nazionale, perché rischi del tuo. E allora, ecco che il Settembre viterbese è quello che è”. Marini prende atto che oggi i tempi sono diventati più difficili a causa della stretta economica. “Nei cinque anni di presidenza della Provincia – ricorda – quando si poteva programmare perché i soldi c’erano, e con un assessore alla cultura (Giammaria Santucci, ndr) capace, andammo come il vento. Oggi non è più possibile”.
Poi c’è l’aspetto culturale. “E’ vero, serve una rivoluzione. Culturale. Da attuare coinvolgendo l’intera città. Una cosa che avrei voluto fare se i viterbesi mi avessero dato ancora la loro fiducia. Una rivoluzione culturale che però deve essere autoctona, deve mettere in risalto le peculiarità viterbesi, le tradizioni della città. Prendo spunto da un verso del poeta viterbese Emilio Maggini “’gni tempo ha la su’ impronta” per dire che a Santa Rosa vanno valorizzate le feste in piazza, la tradizione agricola. I festival si possono fare nei restanti messi dell’anno, non a Santa Rosa. Ed è pericoloso catalogare le cene dei Facchini come un’iniziativa turistica. Quelle hanno uno scopo ben preciso: la beneficenza. E sono fatte per i viterbesi”.
Ed ecco che spunta la ricetta: “Programmazione e coinvolgimento si possono ottenere delegando ad altri l’organizzazione del Settembre viterbese. E allora mi vien da pensare a quell’idea che tentò di portare avanti un amico che purtroppo non c’è più, Carlo Cardoni. Una Fondazione di Santa Rosa alla quale far partecipare la città intera. Un contenitore che lavori dal basso, dalla base, per valorizzare il meglio della viterbesità. A quel punto non servirebbe più neanche il tanto decantato direttore artistico”.
Indubbiamente è un bello scontro tra titani, quello tra l’ex autista di Perugi (al secolo Giulio Marini) e l’ex portaborse di Scajola (in arte Filippo Rossi da Trieste).