03052024Headline:

Caro ministro Poletti, stavolta mi incazzo

Giuliano Poletti

Giuliano Poletti

La “sassata” di oggi è una lettera aperta al ministro Giuliano Poletti:

Eccellentissimo ministro del lavoro e delle politiche sociali Giuliano Poletti, braccio destro (o sinistro?) del governo di quel Matteo Renzi che dovrebbe cambiare verso all’Italia, Lei (e lo scrivo con la maiuscola) è riuscito nella non facile impresa di farmi incazzare. Di brutto. Tanto da farmi lanciare una serie di improperi nei confronti di quello schieramento politico che ho sempre votato.

Il casus belli, come immaginerà, è quella sua uscita sul taglio delle pensioni cosiddette alte al fine di reperire risorse da distribuire agli esodati, che rischiano di rimanere senza il becco di un quattrino. Intendiamoci, massima comprensione per tutte quelle persone che – mi consenta – sono rimaste vittime di una vera e propria truffa di Stato, dal momento che i suddetti si sono ritrovati come don Falcuccio proprio grazie a un provvedimento preso dal governo (non quello di cui Lei fa parte, bensì quello dell’esimio professor Monti e della ministra Fornero). Ed è lodevole da parte sua tentare di metterci la cosiddetta “pezza”. Il problema – e qui sta la mia incazzatura – non è che questo si può fare a danno dei soliti noti e soprattutto tradendo un altro patto che lo Stato ha stipulato negli anni coi cittadini.

Soltanto a titolo di esempio, cito il mio caso personale. La mia pensione (alta, secondo i criteri di valutazione attuale) è frutto di ben 38 anni e 4 mesi di contributi interamente versati all’Inpgi, l’ente previdenziale dei giornalisti (l’unica annualità figurativa è quella del servizio militare). Che, come lei saprà, durante l’attività lavorativa preleva – sia dalle aziende che dai dipendenti – cifre piuttosto alte. A tutto ciò aggiungo che, volendo riscattare sei anni di contributi Inps per unificarli con quelli Inpgi (ripeto, molto più onerosi), nel 2007 versai al mio ente di previdenza circa 35 mila euro in un’unica soluzione. Cosa che ha fatto sì che la mia pensione si rivalutasse ulteriormente.

Alla fine del gioco dunque, c’è un dato di fatto incontrovertibile: tutto quello che oggi percepisco è solo frutto di quanto da me versato nel corso degli anni. Nessuno scivolo (tanto di moda negli anni trascorsi), nessun abbuono, nessun regalo. In un’Italia dove per decenni si è permesso di andare in pensione addirittura dopo 15 anni e 6 mesi e un giorno di lavoro, dove gli “scivoli” si sono susseguiti a ritmo incessante, dove – spesso per motivi clientelari, tanto pagava Pantalone – in campo pensionistico è stato fatto di tutto e di più, e dove i politici continuano a percepire vitalizi che gridano vendetta (alla Regione Lazio circa 3 mila euro dopo un solo mandato, che – come è noto – dura 5 anni), ora Lei mette nel mirino – senza un minimo di discernimento – le pensioni alte. Secondo fonti giornalistiche quelle che superano i 3 mila o i 3 mila e 500 euro.

Con quale criterio, signor ministro? Con quale logica? Giacché Lei non potrà negare che, in un’Italia dalle mille sfaccettature, c’è chi la pensione alta se l’è guadagnata e chi quella bassa l’ha avuta come manna dal cielo.

E se il principio deve essere che chi più paga durante l’attività lavorativa, più prende quando arriva alla pensione in base a un criterio (questo sì, di giustizia sociale), allora caro Giuliano Poletti riveda un po’ le sue balzane idee.

E poi dice che uno si butta con Berlusconi….

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4   Commenti

  1. Arnaldo Sassi ha detto:

    Ricevo e pubblico il commento all’articolo da parte del giornalista Francesco Corsi:

    Caro Arnaldo, mi permetto di intervenire pubblicamente su questo tema. In linea di massima hai ragione, però…però c’è qualche però. Tu scrivi : “Alla fine del gioco dunque, c’è un dato di fatto incontrovertibile: tutto quello che oggi percepisco è solo frutto di quanto da me versato nel corso degli anni”. Giusto. Giusto? Quello che tu hai versato è frutto di vecchi contratti giornalistici che, diciamolo francamente, erano abbastanza onerosi per le aziende editoriali e hanno fatto si che dai tanti privilegi di trenta e passa anni fa (mi risulta, ad esempio, che ai colleghi della Stampa davano anche un’utilitaria Fiat) siamo arrivati alla situazione attuale, dove strappare un articolo 1 (per i non addetti ai lavori: contratto giornalistico a tempo indeterminato) è pura utopia. Che poi non è lo stesso contratto perché contiene meno garanzie.

    So quanto sia duro il nostro lavoro e quante responsabilità comporta, ma tu appartieni ad una generazione (a proposito: buon compleanno in ritardo) che ha avuto garanzie, contratti blindati, che ha lavorato e vissuto quando si accumulava debito pubblico alle spalle delle generazioni future, che non conosceva (o quasi) la parola disoccupazione. Non so se la proposta di Poletti sia giusta o no, ma so che è giusta una redistribuzione del reddito, che peraltro è la prima causa delle crisi: se al banco uno solo vince e gli altri rimangono a secco, il gioco finisce, per questo sarebbe necessario che tutti avessero risorse sufficienti per giocare. So anche che quella proposta da Polettti non sarebbe una misura risolutiva se non affiancata da una radicale riforma del mercato del lavoro, che introduca maggiore flessibilità in uscita (si trasformerebbe in flessibilità in entrata). Sai meglio di me perché lo avrai visto cento volte quali guasti ha portato l’articolo 18 anche nelle redazioni: mummie intoccabili nei loro santuari e giovani alle prime armi che, guadagnando un decimo, fanno il quadruplo, con la meritocrazia che spesso è andata a farsi benedire anche nel nostro mestiere.

    Il riferimento non è certo a te perché sai che ti stimo molto e può anche sembrare che questo mio scritto non sia attinente col tuo articolo. E sono contento per la tua pensione che per noi è un sogno (tra l’altro Poletti vorrebbe destinarla a tutelare gli esodati – che vanno ovviamente tutelati – e non i disoccupati). Invece è attinente perché vorrei un mercato del lavoro (e delle pensioni) dove ci fossero garanzie per tutti, dove la generazione dei padri dicesse “cazzo che Paese vi stiamo lasciando”. Io tra l’altro non sono più un lavoratore dipendente e sono più o meno a metà strada tra te e i ventenni che emigrano a Londra (ci vivono 550mila italiani, a Roma solo 2.500 britannici) e anche dal punto di vista socio economico sono nel guado, con la testa che respira ma che è continuamente risospinta verso il basso. E sento e vivo le incertezze del presente.

    Con affetto.

    Francesco

  2. Arnaldo Sassi ha detto:

    Caro Francesco,

    hai centomila ragioni quando dici che la tua generazione
    paga gli errori di quella precedente. E chi oggi ha vent’anni sarà costretto a
    pagare ancora di più.

    Detto ciò, io non mi sono mai sottratto a quella che si
    chiama solidarietà (ho fatto parte di una casta, lo so bene, e se avessi dovuto
    fare i miei interessi avrei dovuto votare per Berlusconi fino alla morte), ma
    mi dà fastidio che il Governo – tutti i governi – vadano a cercare soldi solo
    laddove è facile prenderli. Ed è proprio questo a farmi incazzare.

    In un Paese dove l’evasione fiscale ha livelli da record,
    dove i vitalizi tracimano (giorni or sono, proprio su questo sito, abbiamo
    pubblicato le prebende che prendono o prenderanno gli ex consiglieri regionali
    del Lazio), dove i magistrati chiudono bottega (leggasi ferie) da metà luglio a
    metà settembre (e di soldi ne guadagnano più di me), dove la corruzione non si
    riesce ad arrestare a tutti i livelli, alla fine chi paga è sempre il cittadino
    che – bene o male – ha fatto il suo dovere. Anche in tempi di vacche grasse.

    E allora, ti dico: per il bene delle generazioni future sono
    disposto a fare qualche sacrificio. Ma prima di arrivare al sottoscritto la
    lista deve essere lunga. Anzi, lunghissima.

    Un abbraccio.

    Arnaldo

  3. Gabriele Testi ha detto:

    “Quello che tu hai versato è frutto di vecchi contratti giornalistici che, diciamolo francamente, erano abbastanza onerosi per le aziende editoriali e hanno fatto si che dai tanti privilegi di trenta e passa anni fa (mi risulta, ad esempio, che ai colleghi della Stampa davano anche un’utilitaria Fiat) siamo arrivati alla situazione attuale, dove strappare un articolo 1 (per i non addetti ai lavori: contratto giornalistico a tempo indeterminato) è pura utopia. Che poi non è lo stesso contratto perché contiene meno garanzie”. Ed è forse colpa dei lavoratori di allora? Ma che cosa stiamo dicendo? Lo scopo di un contratto di lavoro è quello di dare migliorare la qualità di vita di chi lavora. Su…

  4. Massimiliano Forieri ha detto:

    Credo sia giustissimo e sacrosanto tagliare le pensioni sopra un certo importo i cui contributi non sono stati versati con il sistema contributivo ma con quello retributivo. E come tutte le cose giuste, non verrà mai fatto.

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